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L'azienda

Un vino, un principe, i colli romani: così continua il mito del Fiorano

01 Gennaio 2015
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Da Alberico ad Alessandrojacopo Boncompagni Ludovisi: la storia e il futuro


(Il principe Alessandrojacopo Boncompagni Ludovisi
con la moglie Maria Carolina)

Siamo a pochi chilometri dal centro abitato di Roma e vicini all’aeroporto di Ciampino, alle pendici dei Colli Albani, nella Tenuta di Fiorano. È una mattina di inverno con il sole che illumina le distese di verde intorno. Ad accoglierci è il principe Alessandrojacopo Boncompagni Ludovisi che oggi porta avanti la storia leggendaria del Fiorano, iniziata dal cugino Alberico. 

Controverso personaggio quest’ultimo, cultore della vigna e della terra, che negli anni ’40 del secolo scorso volle fare dei vini del tutto insoliti, impiantando in quei terreni uve di cabernet sauvignon e merlot, malvasia di Candia e sémillon. Vini divenuti famosi nel mondo. Di lui si racconta che fosse riservatissimo, cosi geloso dei suoi vini da non permettere mai a nessuno di visitare la cantina storica. Mentre passeggiamo lungo i giardini intorno alla villa di Santa Fresca con il Principe e la moglie Maria Carolina, emerge l'entusiasmo di questa giovane coppia che continua il percorso intrapreso dal cugino. La figura di Alberico è leggendaria e il principe ne parla con grande trasporto emotivo. Via via, mentre calpestiamo la terra dei vigneti, nel panorama circostante si susseguono le piante impiantate da Paolo, padre di Alessandrojacopo, provenienti da ogni parte del mondo, le secolari e affascinanti macchine arrugginite appartenute ad Alberico, i due fabbricati gemelli che si affacciano all’orizzonte dove si svolgono congressi ed eventi, le vaccherie, il granaio, e una struttura che ha tutta l’aria di essere un fortino. Ma con il pensiero torno presto all’immagine del pioniere del Fiorano, quel vino di taglio bordolese che secondo alcuni poteva arrivare a competere con il Sassicaia. 

Il ritratto è affascinante. Lo immaginiamo un po’ scorbutico, ma con un grande cuore. Del resto, non può non amare uno che, da una passione, trasforma un vino in leggenda; e deve averlo amato tanto questo vino, se sul finire della vita sceglie di privarsene. Sembra assurdo, eppure accadde, quando nel periodo di massima gloria, quel vino bramato e desiderato uscì di scena. Nel 1998 Alberico espiantò quasi tutto senza spiegazioni, lasciando al Fiorano un’aurea di mistero ancora irrisolta. Via uve, vigneti, tutto. Come fu possibile? È come se un genitore uccidesse i propri figli. Una pazzia o una lucida follia euripidea? La curiosità non viene appagata e del resto molte cose nella vita sono e restano private. Di privato però deve essersi trattato, se a soli pochi passi da dove ci troviamo, c’è una Tenuta che porta il nome di Fattoria di Fiorano (azienda nata per volere delle nipoti – che portano il nome di Antinori – a partire dalla quota ‘legittima’ lasciata dal nonno, Principe sul trattore, così come veniva chiamato). Nel frattempo però, continuiamo la visita, lasciamo un po’ da parte l’immagine di Alberico e ascoltiamo i progetti dell’odierna Tenuta di Fiorano.

La Tenuta di circa 200 ettari di terreni comprende uliveti (cinque ettari circa), terreni seminativi, pascoli e vigneti. Questi ultimi coprono un’area di circa sei ettari. La terra, alla pendici del vulcano laziale, conferisce alle uve e ai vini spiccate capacità a lunghi invecchiamenti. Sono state impiantate uve di cabernet sauvignon e merlot dalle quali si ottengono il Fiorano Rosso e il Fioranello Rosso e uve di grechetto e viognier per il Fiorano Bianco e per il Fioranello Bianco, con un sesto di impianto molto tradizionale e una potatura a cordone speronato. La produzione rimane contenuta: 5.000 bottiglie per i rossi e 5.000 per i bianchi. “Le annate 2008 e 2007 sono già terminate. Conto di arrivare alle 8.000 bottiglie per il rosso e alla medesima quantità per il bianco. Ma non di più”, dice il principe.

Le pratiche di vigna e di cantina rispecchiano fedelmente la tradizione storica dell'azienda, che prevede l'invecchiamento in botti di rovere di Slavonia da 10 ettolitri e un lungo periodo di affinamento in bottiglia nelle grotte naturali della storica cantina. A seguire le vigne e i vini è l’enologo Lorenzo Costantini.

Oggi il giovane Fiorano, in commercio dal 2006, ha ottenuto vari riconoscimenti. In Italia è venduto soprattutto nel Lazio. All’estero, negli Stati Uniti, a New York, in California e in Giappone, a Hong Kong.

Ma torniamo alla storia e ai vigneti estirpati da Alberico. C’è un vuoto da colmare. Ad un certo punto infatti qualcosa è cambiato. Alessandrojacopo, figlio ventenne del cugino, deve essere piaciuto tanto a quel vecchio arguto, se ha scelto di cedergli i diritti di reimpianto del suo terreno e non solo quelli. Al giovane (non ai suoi discendenti diretti: la figlia sposatasi con uno dei membri della nobile famiglia toscana degli Antinori), a cui probabilmente riconosceva la sua stessa passione per la terra, Alberico suggerisce di far rinascere il vecchio Fiorano. E la scelta è lucida, razionale. Mentre visitiamo la Tenuta infatti il Principe racconta di varie lettere che Alberico, ormai vecchio e incapace di recarsi a visitare le vigne, gli scriveva con indicazioni precise su cosa impiantare, sul posizionamento, sull’esposizione, sulla distanza delle piante. Categorico in quanto alla scelta dei vitigni. Questa volta, niente semillòn. Il bianco cambia aspetto. Il perché resta anch’esso un mistero. Ma le indicazioni date vengono eseguite alla lettera da Alessandrojacopo, che si fida dell’esperienza e della conoscenza del vecchio cugino.

Le lettere sono custodite in un archivio lontano dalla struttura. Alberico, in pratica, sul finire della vita, cambia tutte le carte in tavola. Punta tutto sul giovane, il solo a cui probabilmente riconosceva la sua identica filosofia enologica. E ricomincia una partita che di certo non sarà lui a finire. Muore dopo aver visto nascere il primo vino che assaggia nel 2004, e lascia che la partita la continui da solo quel giovane. 

Degustiamo i vini. Si comincia dal Fiorano bianco 2012 (in enoteca tra i 22 e i 25 euro) e si termina con il Fiorano rosso 2007 (in enoteca tra i 42 e i 45 euro). Entrambi sono eleganti e con profumi di sorprendente complessità. Il bianco, da uve grechetto e viognier ha un sapore equilibrato, morbido, sapido, perfettamente sostenuto da un’acidità salmastra e mediterranea. Il rosso è più austero, regale, con profumi davvero complessi ed articolati, note austere di goudron, lievi toni appena affumicati, poi balsamici, con accenni di cassis e mirtilli. Setoso, armonico, pieno all'assaggio, con tannini appena accennati. Ci sono anche il Fioranello bianco 2012 (in enoteca a 12/14 euro), un vino da pronta beva, molto fresco con belle note fruttate e il Fioranello rosso 2012 (in enoteca tra i 14 e i 16 euro) con sole uve di Cabernet Sauvignon, un rosso dalle intriganti note balsamiche, con tannini non troppo invadenti e lunghezza non eccessiva. 
Prima di salutare chiediamo cosa pensano di fare con tutta questa proprietà. La moglie mi risponde: “Pensiamo a strutture ricettive. Poi vorremmo allevare bestiame, come un tempo, e magari estendere le coltivazioni. Ogni giorno ci svegliamo con un’idea nuova, non è facile realizzare tutto dall’oggi al domani, ma siamo giovani e abbiamo tanto tempo davanti a noi”. Li rivedremo al Vinitaly, dove ci faranno assaggiare le annate 2009 e forse anche un assaggio del 2010.

Francesca Landolina