“Se non coltivassi Garganega ricorrerei senza dubbio all’alberello”.
Lo dice Angiolino Maule, presidente di VinNatur. Per il produttore di Gambellara è “in assoluto”, precisa con testuali parole, il miglior sistema di allevamento se non si vuole percorrere la strada della quantità. Anche lui concorda con Jancis Robinson, la guru del vino inglese e Master of Wine che lo scorso ottobre a Taormina Gourmet, l’evento firmato da Cronache di Gusto, aveva lanciato un monito esortando i produttori a valorizzare l’aberello come garante della tipicità del vino e del territorio (per leggere l’articolo cliccare qui). “Ha ragione la Robinson – risponde Maule -. Lo sostengo da sempre. Bisogna prima di tutto guardare alla tipicità del vino, alla qualità e solo dopo al mercato. Il problema è che oggi non si ragiona più da contadini ma da imprenditori”. E in modo perentorio ribadisce: “Con l’alberello si ottiene il massimo. Personalmente ci ho pensato cinquanta volte se piantare ad alberello – ammette, sottolineando come non tutte le varietà siano adeguate a questo sistema-. Purtroppo il vitigno che coltivo, che identifica il mio areale e la sua storia, non può essere gestito con l’alberello, altrimenti lo avrei adottato”. Un'altra voce favorevole che si unisce a quella di Cristina Geminiani, produttrice che in Romagna coltiva ad alberello ben 20 ettari, la quale ci ha ricordato quanto rispetto ad altri sistemi “abbia una marcia in più” (leggere qui)
Secondo Maule sarebbe secondario il fattore “costo di gestione”, quello su cui, invece, invita a riflettere Attilio Scienza, anche lui intervenuto per commentare la dichiarazione della Robinson mostrandosi contrario, precisando “che non ci si può sottrarre dal fare “ i conti con la matita” (leggi qui). “E’ indiscusso che l’alberello abbia fascino – aveva dichiarato- che sia romantico, la vite ai tempi di Omero, ma ricordiamo che il vino bisogna venderlo. E non è il momento per fare etichette da 20 euro. Non possiamo vivere di sole supernicchie di mercato”.
Manuela Laiacona