Perricone IGT Terre Siciliane.
Era il tempo in cui la Sicilia viticola cominciava a sollevarsi dalla terribile strage effettuata dalla fillossera, cioè la fine dell’800, quando Antonio Caruso creò questa azienda agricola che vendeva le uve agli importanti stabilimenti marsalesi. Erano terreni particolarmente adatti a produrre buone uve che allora erano di Catarratto, Grecanico, Inzolia e Perricone, il cosidetto Catarrattu Russu. Da Antonio a Francesco e poi di nuovo ad Antonio nel dopoguerra che compra altri terreni ed comincia ad introdurre il Grillo, il Nero d’Avola, lo Zibibbo, lo Chardonnay, il Syrah ed altri, continuando a vendere uve finchè il figlio Stefano, tra l’altro agronomo, si scoccia di rendere felici gli altri e decide che è venuto il momento di dare un assetto più moderno alle vigne e di fare il vino in proprio.
E’ la fine del secolo scorso e Stefano conosce Mario Minini che fa l’imbottigliatore in quel di Brescia. Si mettono in società per fare la cantina così nel 2004 finalmente vanno in commercio i primi vini Caruso & Minini.
I 120 ettari di vigneti rimangono sempre alla famiglia Caruso e da allora inizia questa bella avventura che oggi permette di vedere oltre 1.000.000 di bottiglie per il 65% all’estero. Vigneti in contrada Giummarella in comune di Salemi da cui viene Terre di Giumara che diventa il nome della tenuta nonchè di una linea di vini. Stefano è coadiuvato dai fratelli Francesco e Roberto e da poco dalla giovane figlia Giovanna.
Ora parliamo di questo Perricone, un antico vitigno particolarmente diffuso nella Sicilia occidentale, sterminato dalla fillossera e ora a poco a poco sempre più introdotto per le sue qualità. I Caruso lo vinificano per la prima volta nel 2005 e siccome ci credono molto portano avanti una attenta sperimentazione specie sul modo di affinarlo. Stefano, con l’enologo Giuseppe Clementi, si accorge che il legno non fa per il loro Perricone per cui l’annata non è imbottigliata.
Dall’anno successivo si è trovata la formula giusta: attento lavoro in vigna con drastici diradamenti perchè il vitigno tende a produrre troppo, vendemmia a metà settembre, vinificazione con lieviti selezionati e macerazione di 20 giorni. Affinamento in acciaio in assenza di ossigeno, quindi in riduzione, per 6/7 mesi poi in bottiglia, con pochissimi solfiti aggiunti anche grazie alla riduzione, dove si arrotonda per almeno 5 mesi.
Sachia, il cui nome in dialetto è la canaletta che con la zappa si fa per drenare la vigna specie in zolle argillose, versato nel calice è color rosso granato fitto quasi impenetrabile ma nello stesso tempo vivace per i suoi spiccati riflessi rosso/viola. Avvicinando il naso iniziali note cupe con spezie, liquirizia, cioccolato, balsamo, ma più si da ossigeno e più va mutando, ecco allora apparire i frutti rossi evoluti in confettura. E’ particolarmente franco, austero, elegante, non eccessivamente intenso. Un olfatto che coinvolge col suo divenire. Al gusto si presenta morbido, quasi vellutato anche se il tannino si avverte; un tantino amaro ma anche qui passando dalla riduzione all’ossigeno questo amaro va chetandosi diventando anzi piacevole. Armonico, di media struttura.
Stefano aggiunge che le bottiglie per l’estero hanno il tappo a vite tipo Stelvin, giustamente per un vino che deve prendere aria solo stappato. Specialmente i paesi dell’Oriente lontano pretendono questa tipologia di chiusura. Purtroppo gli italiani e i francesi sono rimasti ancorati al sughero, a questo pregiudizio che si spera possa finalmente essere superato.
Abbiniamolo a piatti di media complessità, ad una pasta alla norma, ad una cotoletta, ad un pecorino di media stagionatura. Se ne confezionano 40.000 bottiglie che in enoteca vanno a 10 euro.
Caruso & Minini |
Recensioni Rubrica a cura di Salvo Giusino |