Riccardo Ricci Curbastro lancia un Sos.
A pochi mesi dal varo di Expo 2015 il mondo delle Doc non sta avendo la giusta considerazione dagli organizzatori del padiglione Italia. Ricci Curbastro che è presidente di Federdoc – oltre ad essere il titolare di un'importante cantina in Franciacorta – è preoccupato. E la sua preoccupazione è cresciuta leggendo i resoconti della presentazione di pochi giorni fa avvenuta a Roma dove è stato tracciato un primo percorso in vista di Expo alla presenza del ministro Martina, dei vertici di Veronafiere, di Philippe Daverio…”Ho letto – interrompe subito Ricci Curbastro – e ci sono parecchie cose che mi lasciano perplesso. Se la partenza è questa allora non ci siamo affatto”.
Spieghiamo meglio. Cosa non va secondo Federdoc?
“Abbiamo letto i resoconti giornalistici dell’incontro e, ovviamente, questo è tutto quanto conosciamo. Tuttavia non ho trovato nei due articoli che ho consultato la parola Denominazioni, né Docg, Doc o Igt, c’era invero una vaga promessa del coinvolgimento dei consorzi ma questo è tutto. Non si dice neanche di quali consorzi parliamo. Consorzi di esportazione? Consorzi di promozione? Peraltro questi ultimi già presenti nel comitato scientifico presieduto da Riccardo Cotarella con due loro rappresentanti. Oppure parliamo dei consorzi di tutela dei vini con indicazione geografica cui la tradizione e la legge italiana affidano la protezione di vini che riflettono, per loro natura, le caratteristiche particolari, uniche e distintive dei territori di provenienza?”.
La parola Doc forse evoca disciplinari, leggi, burocrazia…
“Alt. Non sono d'accordo. Dire Doc significa tracciare le caratteristiche del vino, la vocazionalità dei territori, le tradizioni e i fattori umani specifici di quelle terre in cui nascono i vini con l’indicazione della zona di provenienza. Un sistema, quello della Denominazione d’Origine, che ha radici nella legislazione romana e che spinge ancor più indietro la propria ragion d’essere in Enotria, la terra del vino, il nome con cui i greci chiamavano l’Italia prima ancora che assumesse questo nome. Non è poco”.
Federdoc non fa parte del comitato organizzatore presieduto da Riccardo Cotarella?
“Il ministro Martina non ha ritenuto di coinvolgere Federdoc e i Consorzi, ce ne siamo rammaricati ma ci è stato risposto che c’erano troppi attori desiderosi di calcare il palco. Peccato che nessuno, tantomeno il ministro Martina, abbia considerato che i consorzi di tutela sono gli unici organismi interprofessionali presenti nel sistema vitivinicolo, hanno quindi nella loro natura la rappresentatività di tutti i produttori, agricoltori, industriali, cooperatori, commercianti. Ma non è tutto”.
Cosa c'è ancora?
“Mi colpisce che non si sia voluto portare al tavolo organizzativo la grande massa di problemi irrisolti (protezione delle Do dalle contraffazioni, accordi bilaterali in corso e da rinnovare, Icann e la questione dei suffissi .wine e .vin legati a denominazioni ecc.) che avrebbero trovato in Expo 2015 il palcoscenico dal quale spiegare al mondo la bontà delle nostre idee e delle nostre richieste ma, soprattutto, che i vini a Do, tutti i prodotti a Denominazione, sono una grande possibile risposta ad alcune delle domande che costituiscono la ragione d’essere di Expo 2015: nutrire il pianeta, la salvaguardia della biodiversità, la sicurezza alimentare”.
Il di Veronafiere Giovanni Mantovani ha detto che ci saranno spazi per consorzi, territori…E poi la vendita diretta del vino. Siete d'accordo a trasformare Expo in una gigantesca enoteca?
“Non conosco le idee di Mantovani e i progetti presentati sono ancora molto vaghi, forse c’era fretta di dimostrare che si sta lavorando, certo i percorsi sensoriali non sono una novità, si trovano nei musei del vino di tutto il mondo da quasi vent’anni, forse avrei suggerito di far comprendere attraverso i sensi e la cultura del territorio perché un Franciacorta è diverso da un Prosecco, un Chianti Classico da un Primitivo di Manduria, un Collio da un Verdicchio e così via. Quanto alla vendita diretta del vino devo confessare che sono sobbalzato nel leggere di questa idea. Ma come: noi produttori siamo impossibilitati a vendere online in Europa, il presunto mercato unico, per le norme relative alle accise, e nel mondo a causa di accise, norme sanitarie, regolamenti locali sull’etichettatura, analisi, certificati d’origine e via dicendo e improvvisamente tutto questo viene spazzato via? Se ciò dovesse avvenire sarebbe da solo un risultato che giustificherebbe metà dell’Expo, vorrebbe dire aver rimosso in un colpo ostacoli che da decenni si frappongono al libero commercio del vino. Un sogno che vorrei tanto vivere insieme a tutti i miei colleghi vitivinicoltori”.
F. C.