L’espulsione dei tre produttori italiani da Vinnatur, il provvedimento più pesante che ha dovuto adottare l’associazione capitanata da Angiolino Maule a seguito del ritrovamento di sostanze chimiche nei vini che hanno partecipato lo scorso aprile a Villa Favorita, ha alzato un polverone di commenti espressi da consumatori e da chi fa parte del mondo del vino.
Voci che rimbalzano nella rete e sui social network e che quasi all’unisono chiedono che venga rivelata l’identità. Richieste che si appellano al diritto di essere informati, che denunciano la “frode al consumatore”. E non sono stati nemmeno pochi coloro che hanno tacciato Vinnatur addirittura di omertà. Ma c’è anche chi ha lodato il rigore dell’automonitoraggio attraverso le analisi di laboratorio osservato dall'associazione e la decisione di mantenere il riserbo per scongiurare ai tre produttori la gogna pubblica. La notizia, anticipata da Cronache di Gusto (per leggere l'articolo cliccare qui), non è proprio una di quelle che passano inosservate, nel momento storico, poi, in cui la soglia d’attenzione sulla salubrità dell’ambiente, di ciò che mangiamo si è alzata di molto e la categoria naturale-biologico-biodinamico-artigianale va forte nei mercati, a qualsiasi latitudine.
Sul caso dell’estromissione dei produttori e sui nomi occultati abbiamo sentito uno dei personaggi della critica del vino che più conosce a fondo questo mondo, Giancarlo Gariglio, il curatore insieme a Fabio Giavedoni, della guida Slow Wine e del neo progetto editoriale che racconta all’estero il vino italiano che segue i principi del buono, pulito e giusto. “Quando si dichiara qualcosa del genere si fa un atto pubblico, di trasparenza – dice in merito alle critiche esplose – e quindi è lecito da parte del pubblico chiedere i nomi, ma è altrettanto lecita la posizione di Vinnatur di non renderli pubblici, si vedrà poi l’anno prossimo, mettendo a confronto i partecipanti, chi è stato espulso. So che è una risposta democristiana ma comprendo le due posizioni. Secondo me il rigore di Maule è da apprezzare, anche se poi uno potrebbe dire “avendo fatto trenta poteva fare trentuno”.
La certificazione di un ente terzo per Gariglio rimarrebbe la forma di garanzia più efficace. “E’ importante fare le analisi anche se non sempre rivelano tutto. L’ideale sarebbe il campionamento a sorpresa nelle vigne attraverso il prelievo delle foglie, obbiettivamente però sarebbe un agire da KGB e comunque onerosissimo. Tendenzialmente, noi siamo favorevoli ai produttori che si certificano, pur sapendo che dal punto di vista burocratico è complicato. Per ora è l'unica forma di chiarezza attendibile. Anche se poi all’estero, per esempio in Germania, come abbiamo raccontato in un nostro articolo su Slow Wine, quando sentono parlare di certificazione bio italiana si mettono a ridere (per leggere l'articolo cliccare qui)”.
Alle analisi di laboratorio, la squadra di Slow Wine ha preferito adottare le visite in cantina per valutare la serietà del produttore e la sua fedeltà ad un'agricoltura che rispetta ambiente e uomo. “Non siamo certo un ente di controllo o certificatore, ma recandoci nei luoghi dove viene fatto il vino possiamo constatare di persona e assicurare, anche se relativamente, il consumatore sulla condotta del produttore. I furbetti ci saranno sempre, attenzione, come succede in tutti i settori”.
Controlli e monitoraggi a parte, il mondo del vino così detto “naturale” rimane, di fatto, un sistema a maglie larghe, dove chi vuole cavalcare il trend di mercato senza realmente sposare una certa forma mentis trova comunque il suo spazio. “Ma alla fine vengono smascherati”, commenta Gariglio che solleva un’altra problematica, forse la madre di tutte le altre, cioè la confusione che regna sovrana rispetto al vino naturale . “C’è in Italia e in tutti gli altri Paesi, compreso in Francia e negli Stati Uniti. La definizione vino naturale rimane un discorso complicato. Personalmente la parola naturale non mi piace. Le associazioni di grande valore, come Vinnatur, ViniVeri e Vivit, potrebbero dare il loro contributo senza procedere divise, dovrebbero trasmettere un messaggio univoco, condividere un unico manifesto con regole piuttosto chiare. La divisione che c’è tra loro non aiuta. Hanno certo parametri simili ma non sono uguali. Ci vorrebbe un movimento di intenti che unisca questo fronte sotto lo stesso disciplinare, certo e rigoroso. Sarebbe davvero un aiuto per tutti”.
Manuela Laiacona