Se si dovesse scegliere un vino quale espressione identitaria dell’Etna, questo non potrebbe non essere che un vino dell’Azienda Al-Cantàra.
A prescindere dalla qualità, sia ben chiaro. Perché non è certo la caratteristica enologica a risolvere il concetto di identità. E il termine “identitario” pare che, di questi tempi, sia diventato il claim o meglio, l’obiettivo centrale del mercato globale, per stringere un patto sempre più forte con il consumatore, anche attraverso la trasparenza del percorso di produzione. Rendere identitario un prodotto, insomma, è quanto chiedono i potenziali winelover sempre più emancipati, sempre più colti, sempre più raffinati. E va altresì chiarito che, anche in enologia, per concetto di “identità” s’intende l’etichettatura con cui ogni individuo marchia il carattere del suo io, modellato dalla storia del suo vissuto, dalla sua cultura, ma anche dalle passioni trascorse e percorse attraverso i segni della sua terra. Sommando quel valore aggiunto che si ritiene il più importante: lo strumento simbolico ed il fattore coesivo di cui ogni popolo dispone ovvero la propria lingua e il proprio dialetto. Definizione che gli si cuce bene addosso anche ad un vino. Sì, compreso il suo “dialetto”.
Che questo linguaggio, mirato a far sposare vino dell’Etna e poesia dialettale (facendo dell’etichetta anche un luogo d’arte) si sia è rivelato dunque una strumento culturale efficace e vincente lo dimostra nuovamente una delle ultime etichette del catalogo di questa azienda, e non a caso richiamante un sonetto del poeta catanese Nino Martoglio: “Amuri di Fimmina e Amuri di Matri” (medaglia di bronzo all’ultimo concorso internazionale del Vinitaly). E’ un Doc rosato dell’Etna, (in degustazione mercoledì 4 giugno, nell’ambito dell’Etna Grand Tour 2014, organizzato dal Consorzio Etna DOC, con il coinvolgimento di Cronachedigusto, e in programma all’Hotel Rome Cavalieri Hilton di Roma). Un successo annunciato dall’azienda con un comunicato il cui incipit annunciava: “Chi semina cultura raccoglie successi”. Un dogma che Pucci Giuffrida patron dell’Al-Cantàra, ha sempre applicato al concetto di comunicazione che caratterizza non solo la “sua” azienda ma anche l’anima con cui ha concepito sia i “suoi” vini dell’Etna, sia la promozione del territorio, sia la dialettica rappresentata e dalle premiatissimi sue bottiglie, e dall’incanto delle sue etichette firmate dell’artista Alfredo Guglielmino (“Occhi di ciumi”, ha vinto la medaglia d’oro al concorso ”Migliore etichetta”, Vinitaly 2009), sia dal linguaggio che spesso coglie in pieno l’anima del vino rappresentato.
Pucci Giuffrida
“Amuri di Fimmina. Amuri di Matri” è un rosato singolarissimo, vinificato nella sua originale tradizione etnea. Il colore “scarico” che richiama i petali di pesco in fiore, ne certifica l’autenticità di un “vero” nerello mascalese ma rimane peculiare alle caratteristiche dei cru in cui nasce. Determinante comunque è stato l’apporto della mano dell’uomo. Salvo Rizzuto enologo dell’azienda, trentacinquenne di Sciacca e un curriculum di tutto rispetto con esperienze, tra le altre, in Francia e nelle Langhe, ha saputo cogliere l’anima delle viscere vulcaniche tarando bene alcol e acidità al punto che la sua mineralità , tipica di quei terreni, si armonizzasse con tutta la sua complessità in un ampio bouquet. “Con questo vino – ama chiosare – stiamo cercando di reinterpretare la tradizione etnea, l’unione del fuoco e del mare. Forse è pazzia, ma la passione ed il rispetto di questa terra e delle molteplici sfaccettature che ci fa vivere è degna di citazione, perché questo rosé è “un vino” unico, concepito nel pieno rispetto e nella interpretazione del terroir come una cosa unica. Al pari della conservazione della tradizione”.
Le uve utilizzate sono prodotte da vitigni coltivati ad una quota di circa 650 metri con una densità d’impianto è di 6000 ceppi per ettaro. Fermentato in serbatoi di acciaio, lontano dalle invasioni barbariche del legno, questo protocollo gli regala quelle caratteristiche fatte di aromi primari e di pregevole freschezza. Da abbinare con formaggi freschi, carni bianche, crostacei. E soprattutto buona compagnia.
I “pilastri” del catalogo Al-Cantara si identificano nei due Doc rosso “O’ scuro, o’ scuro” e nel Doc bianco “Luci Luci”. E per la “Linea classica”, “Lu veru piaciri” nella cui sezione spicca un intrigatissimo Igt bianco, “Occhi di ciumi” di cui colpisce la sua sapidità e una carica iodata che richiama i profumi delle onde dello Jonio quando si infrangano sugli scogli dei Ciclopi. Come quell’altrettanto stuzzicante e impiccione del “U toccu”, un Pinot Nero che certifica come l’Etna sia una colonia pronta ad abbracciare ogni esule che lascia la propria terra per cercar nuova vita e nuove emozioni…
Per saperne di più sul catalogo “www.Al-Cantàra.it”
Stefano Gurrera