di Fabrizio Carrera
Il mondo del vino, il pianeta Antinori e l'anima bianchista.
Renzo Cotarella, amministratore delegato della Marchesi Antinori, icona del vino italiano nel mondo con 150 milioni di fatturato e 22 milioni di bottiglie prodotte, racconta e si racconta. Cotarella, un amministratore delegato che è anche, e forse soprattutto, un agronomo ed un enologo e che nel 2001 fu eletto miglior winemaker del mondo. “Perché Piero Antinori ha voluto così in modo che il vino e la produzione fosse al centro di tutto”, Lo incontriamo in un pomeriggio uggioso dove la pioggia non scalfisce la bellezza delle colline di Bargino dove gli Antinori hanno realizzato la nuova e immensa cantina che fa un tutt'uno col paesaggio.
Un anno fa lei disse, dobbiamo restituire al vino la semplicità…
“E lo ribadisco. Dobbiamo riuscire a viverlo come qualcosa di straordinario che non ha bisogno di essere celebrato. C'è un approccio quasi esasperato, fintamente romantico, ma pensando alle vendemmie, al lavoro e alle persone che ci sono dietro al vino è un mondo già romantico in sé. Occorre avere la forza di poterselo godere per quello che è, di berlo a bocca piena senza girare e rigirare il bicchiere. Il vino va vissuto certamente con emozione e profondità, ma anche con piacere. Tutti i vini hanno ragione per essere fatti e per essere bevuti, ci sono momenti per berne uno e momenti per berne altri. Il vino deve essere vissuto con rispetto anche per il produttore, non merita censure da parte di chi non fa il vino. Chi fa il vino lo fa con passione e convinzione che merita rispetto, qualsiasi sia il risultato”.
Lei vede questa tendenza?
“Per fortuna sì. Anche i guru stanno rivedendo le loro posizioni. Il consumatore è più attento, vuole sapere cosa c'è dietro a un vino. Si sta realizzando un percorso virtuoso”.
Ma non nota anche un cambiamento nel gusto?
“Sì, nei Paesi occidentali c'è un approccio che si sta modificando, sta prendendo il sopravvento il sapore sulla dimensione. C'è la rinuncia di alcuni produttori a fare vini muscolosi per fare vini eleganti. La competizione si baserà sul sapore e non più sulla dimensione. I vini troppo potenti, troppo pesanti, hanno difficoltà ad essere bevuti. Anche perché non si mangia più in un certo modo, si privilegia la leggerezza. Io personalmente sono più portato a bere vini più leggeri, anni fa si parlava di vini monumentali, oggi di finezza, eleganza, sapore. Questa è la mia impressione”.
Come si concilia un pensiero del genere con i Super Tuscan, vini dove ha prevalso storicamente la dimensione…
“No, anche i Super Tuscan, e non mi riferisco solo a Tignanello e Solaia, stanno invertendo la tendenza. Nel 2007, ad esempio, abbiamo sostituito il Syrah con il Cabernet Franc. Non è stata solo una sostituzione varietale, ma la consapevolezza di dover cambiare stile. Di dare un vantaggio all'area speziata, raffinata e dolce rispetto all'area potente, selvatica. La ricerca dell'eleganza e della finezza è comune anche ai Super Tuscan”.
Parlando di Antinori, cosa bolle in pentola? Anche se immaginiamo una cucina enorme con tanti fuochi accesi…
“Appunto, tante pentole accese in attesa che ci si metta qualcosa. Antinori è un'azienda che deve il suo successo al suo essere curiosa, alla voglia di mettersi in gioco e sperimentare che Piero Antinori ha trasmesso a chi lavora per la sua azienda. Abbiamo 40 persone nella zona agraria, l'agronomo e l'enologo possono fare in alcuni campi quello che vogliono partendo da un'indicazione di carattere generale. Fare mille prove: mettere legno, non mettere legno, affidarsi al biodinamico o meno e via dicendo. Questo ha portato a una crescita delle conoscenze. Di sicuro si può dire che bolle in pentola la consapevolezza che tutti i nostri vini meritano attenzione perché ci sono margini di miglioramento, anche nei grandissimi vini. Ciò non vuol dire che vogliamo espanderci, ma consolidare. Anche perché quello che già abbiamo è tanto, abbiamo vigneti in Toscana, Piemonte, Umbria, Puglia, Lombardia, Usa e Ungheria”.
Come nasce il progetto Ungheria?
“Un'idea immobiliare, ci fu una finestra all'inizio degli anni '90 in cui si potevano acquistare terreni. È una zona interessante, è un progetto che ha un valore emozionale, morale per le persone che vi lavorano. Non si può fare solo un discorso economico. Antinori può permettersi questo: investire in persone che ci mettono l'anima. In California, invece, abbiamo quello che per noi è “il” progetto fuori dall'Italia”.
Andiamo nella sfera privata. Sembra strano: ma Renzo Cotarella, ad di un'azienda conosciutissima per i suoi rossi, ama soprattutto i bianchi.
“Sì, e spesso di questo si sorride con Piero Antinori il quale sostiene che il vino se non è rosso non è un vino. Io sono abituato a degustare bianchi, mi sento più a mio agio. La chiave di lettura alla quale è abituato il mio palato è una chiave di lettura semplice, facile. Mi è successo più volte di interrompere degustazioni di rossi perché non riuscivo a percepire i sapori, mai coi bianchi… Penso sia un fatto anche di educazione alimentare”.
Forse c'è un passaggio decisivo dell'infanzia, dell'adolescenza…
“Certo, io sono nato con i vini bianchi, il primo vino che ho bevuto è stato un mosto, avevo sei anni. Se dovessi fare un viaggio conoscitivo non andrei a Bordeaux, andrei in Borgogna, non andrei in Australia, ma in Austria”.
Quali sono i grandi vini bianchi del mondo?
“Non possono che essere i Borgogna. Mi piacciono anche gli alsaziani quando non son dolci e i grandi Riesling tedeschi”.
Ultima bevuta di grande bianco con suo fratello Riccardo?
“Beviamo spesso Meursault ultimamente, perché è vicino al nostro modello gustativo, un vino più facile da interpretare rispetto ad altri”.
È un'impressione o negli ultimi tempi si assiste a un ritorno al bianco?
“Nella logica di vini rossi in cui si apprezzano mineralità, eleganza, finezza e non più la potenza, automaticamente si riapprezzano i vini bianchi. Io penso sia irrinunciabile bere bianchi da maggio a settembre”.