VERDE A TAVOLA Il carciofo, già apprezzatissimo nelle mense di greci e romani, oggi trova posto a tavola in infinite ricette. Eccone alcune Oltre le spine Pare che ad Ernesto Calindri, anche in età avanzata e ormai prossimo al secolo, chiedessero informazioni su come cucinare il carciofo. |
VERDE A TAVOLA
Il carciofo, già apprezzatissimo nelle mense di greci e romani, oggi trova posto a tavola in infinite ricette. Eccone alcune
Oltre le spine
Pare che ad Ernesto Calindri, anche in età avanzata e ormai prossimo al secolo, chiedessero informazioni su come cucinare il carciofo. Eh sì, perchè il povero Calindri nell’immaginario collettivo rimane quello del carciofo, l’uomo e l’attore cannibalizzato dal carosello pubblicitario degli anni ’60, quello del Cynar, che era un aperitivo di Stato visto che la proprietà era del gruppo Iri.
Cynar a parte, del carciofo sappiamo pochissimo, tanto quanto basta per cucinarlo in mille modi diversi o per farcelo cucinare in una delle tante trattorie che si trovano a Cerda, nel Palermitano, patria del carciofo che ha addirittura issato un monumento all’ortaggio, nella piazza principale del paese.
Ma il carciofo era apprezzatissimo già nelle mense di greci e romani. Plinio il Vecchio e Teofrasto, e soprattutto Lucio Columella nel “De re rustica” ne magnificano la bontà. A portarlo in Sicilia sono probabilmente i Fenici, che lo introducono dalle coste nordafricane. Da lì si sarebbe poi diffuso in tutto il Mediterraneo. Pianta spinosa per eccellenza, il Cynara scolymus trae il suo nome dal mito. Cynara era una splendida fanciulla di cui si era invaghito Giove che la trasformò appunto in carciofo. L’attuale nome popolare però deriverebbe dall’arabo “Harciof”,cioè spina di terra.
È un cugino di cardo e margherita in quanto appartenente alla famiglia delle Composite.
Per il carciofo arrivarono anche i secoli bui. Non se ne fa più menzione per tanto tempo, nè è presente nelle mense degli eletti. Bisognerà aspettare il ‘600 perchè il medico romano Castore Durante ne celebri le virtù, sostenendo che possiede sostanze epatoprotettive. Poco più tardi viene effettivamente individuata l’essenza curativa, la cinarina, della quale si comincia a parlare nelle assisi scientifiche. All’accademia di medicina parigina, nel 1840, si parla diffusamente della cinarina come di una sostanza che stimola la secrezione biliare e contribuisce all’abbassamento del colesterolo nel sangue, favorendo anche la ricrescita delle cellule del fegato. Ma il carciofo contiene anche la cinaropicrina, acidi e flavonoidi che sono alla base , già alla fine del ‘700, della preparazione di un tonico amaro, forse antenato del moderno aperitivo.
Quanto alle ricette c’è solo l’imbarazzo della celta. Il carciofo può essere lessato così com’è e gustato foglia per foglia con limone, olio e sale. Oppure val bene l’adagio “Paese che vai ricetta che trovi”. A Niscemi, nel Nisseno, si usa cucinarli in maniera ancestrale. Si spuntano, quindi si mettono in giù sbattendoli sul marmo perchè si aprano “a fiore” , poi si farciscono con un trito di aglio, prezzemolo, sale, pepe e olio. Così conciati possono esssere lessi o, meglio, cotti alla brace. E una volta cotti vanno conditi con olio, limone, origano, sale e pepe. A Gangi, melle Madonie, si usa invece spuntarli e riempirli di caponata con un sottilissimo profumo di bottarga. Infine, il celebrato Enrico Alliata, duca di Salaparuta, propose i carciofi “a lasciami stare”.
Dopo avere spuntato i carciofi per ridurlo a cuore, questo si taglia a fettine sottili mezzo centimetro. In un tegame con un po’ d’olio si imposta uno strato di fette con pangrattato mescolato a parmigiano, sale pepe, prezzemolo e cipolla trita, avendo cura di spargere un po’ d’olio su ogni strato. Si cuociono poi per tre quarti d’ora “con fuoco sotto e sopra, lasciandoli stare senza guardarli” ammonì il duca.
Mario Pintagro