Oggi il Giornale di Sicilia pubblica un articolo sul Marsala. Qui ne leggete un'ampia sintesi.
Immortale. Ma a filarselo sono in pochi. Troppo pochi. Come un Achille senza vulnerabile tallone gira il pianeta in cerca di bevitori fans che resistino alle mode. Ma con poca fortuna. È il paradosso del Marsala, vino storico, che attraversa i secoli, simbolo d'Italia ma soprattutto di una zona della Sicilia le cui fortune spesso si sono incrociate con l'enologia. Se ne parla in questi giorni di Marsala. Perché proprio quest'anno si celebra il cinquantesimo anniversario della legge che attribuisce un'identità specifica a questo vino tracciandone caratteristiche, storia, territorio e così via. Ovvero la Denominazione di origine controllata (il noto marchio Doc). (…)
Dunque, dicevamo il paradosso. Sì, perchè il Marsala è soprattutto un vino che per le sue caratteristiche resiste al tempo. Anzi, per essere più precisi, l'ossidazione, che per gli altri vini è un nemico da evitare, per il Marsala è un obiettivo. E l'ossidazione, il nemico che diventa alleato, consente una vita pressochè eterna al Marsala. Basta andare in qualche cantina storica e, se pagate e avete un po' di fortuna, potreste anche assaggiare qualche Marsala di novant'anni o cent'anni di vita ancora straordinariamente appaganti. E allora, se ancora è possibile emozionarsi con un sorso, perchè il Marsala vive una stagione di oblìo? A sentire gli esperti, come Franco Rodriquez, vice presidente regionale dell'Ais, (l'associazione dei sommelier) titolare dell'enoteca Garibaldi a Marsala, per due motivi. Il primo è quello che il Marsala è un vino fortificato, ovvero un vino a cui viene aggiunto alcol (o altre miscele simili) e oggi questo genere non va per la maggiore. Oggi il moderno winelover – come spiega Rodriquez – cerca vini beverini, più easy, meno alcolici, l'esatto contrario di ciò che è il Marsala; l'altro motivo è che, per ragioni strettamente commerciali, i marsalesi, soprattutto negli anni '60 e '70 si tuffarono a capofitto nella produzione di Marsala aromatizzati o addirittura all'uovo snaturando la natura stessa del vino. Che è come se la Ferrari si mettesse un giorno a produrre anche utilitarie. Con risultati di cui ancora oggi si pagano le conseguenze. Basti ricordare la produzione di Marsala, passata negli ultimi decenni da un milione e mezzo di ettolitri ai 70 mila dichiarati l'anno scorso. Mentre non sfugge agli esperti come il Marsala non sia stato minimamente coinvolto nel rinascimento enologico che la Sicilia ha innescato a partire dalla metà degli anni '90 del secolo scorso.
Se la Sicilia del vino oggi è un brand internazionale riconosciuto, il Marsala di fatto ne è rimasto fuori. Forse bisognerebbe ripartire da quel disciplinare della Doc che stabilisce le regole per la produzione. Perchè ne prevede una trentina di tipologie. Secco, semisecco, dolce, superiore, vergine, fine (praticamente utilizzato dalle industrie alimentari per conservare i cibi)…Decisamente troppe. E tutto questo non aiuta. Purtuttavia si registra qualche segnale di nuovo interesse. E su vari fronti. Il primo è quello della stessa Marsala, la città questa volta, proclamata città europea del vino. Una bella opportunità da cogliere al volo per riappropriarsi di un primato produttivo rilevante. Poi fa piacere notare nuovi locali e nuovi appassionati che della cultura del vino stanno facendo il loro credo ideologico e qualche volta anche professionale. La sua parte la fa anche il sindaco Giulia Adamo, proiettata a fare del Marsala un vessillo come mai era accaduto o tirando dal cilindro nuove iniziative come l'idea di spedire a condizioni favorevoli bottiglie di questo vino a tutti gli appassionati o i curiosi che vivono lontano da questa parte di Sicilia. Poi i produttori. A cui tocca la parte del leone. E allora fa piacere che la Florio, oggi di proprietà della Ilva di Saronno e produttrice di due milioni di bottiglie con riserve storiche importanti abbia creato nuovi itinerari turistici e sensoriali alla scoperta del Marsala per le decine di migliaia di visitatori che affollano la loro cantina; fa altrettanto piacere che un altro marchio storico, la Pellegrino, abbia vinto un paio di anni fa l'ambito tre bicchieri della guida del Gambero Rosso con un Marsala del 1981; fa grande piacere vedere il Marsala superiore 1986 del compianto Marco De Bartoli finire, unico tra i siciliani, tra i 50 migliori vini italiani in una classifica stilata dal campione mondiale dei sommelier Luca Gardini; e fa ancora piacere vedere le nuove generazioni delle imprese vinicole orientate a non abbandonare questo patrimonio riscoprendo tradizioni e voglia di alzare l'asticella della qualità. E se tutto questo avrà un senso, come sembra, allora l'immortalità del Marsala non sarà inutile.
Fabrizio Carrera