Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Scenari

Pesce spada a rischio per l’invasione dai Paesi extra UE

31 Maggio 2013
pescespada pescespada

I nostri mercati sono invasi da pesce spada proveniente da paesi extra europei in particolare dal Marocco tramite le lobby commerciali della Spagna con notevole danno per il nostro prodotto locale.

Questo l’allarme lanciato dal Direttore tecnico nazionale dell’Anapi pesca Francesco Zizzo. Le norme dell’ICCAT sui grandi pelagici (tonno, pesce spada, alalunga) recepite dalla UE vietano in Italia la cattura dei pesce spada nei mesi di ottobre novembre e marzo. In particolare il regolamento UE n. 1224/09 e quello di esecuzione n. 104/2011che riguarda l’attuazione del sistema di controllo della pesca rappresenta su tutti – secondo quanto afferma Zizzo – la causa del dissesto dell’attività della pesca in Italia e nei paesi del Mediterraneo aderenti all’UE. Mentre in Italia gli operatori della pesca devono osservare le rigide norme europee, gli altri paesi, non solo sono liberi di pescare come vogliono, ma esportano poi nei nostri mercati i loro prodotti. Il risultato è che l’attività peschereccia italiana, settore in profonda crisi, viene ulteriormente danneggiato”.

La pesca del pesce spada avveniva fino al 1 gennaio del 2002, quando ne è stato vietato l’uso, con le spadare che calavano le reti in mare e pescavano il pesce. Oggi la pesca si può fare con il “palangaro” ossia con una lunga lenza cui vanno attaccate le esche. Questo comporta un notevole aumento dei costi, sia per il gasolio impiegato (le barche si devono spostare di più) sia per il costo dell’esca. Il costo del gasolio infatti rappresenta il 60% dei costi di gestione e se si considera che dal 2007 c’è stato un aumento del 250% si comprende subito la grande difficoltà dei pescatori. Inoltre l’esca impiegata per lo spada è  principalmente lo sgombro (ma anche calamari e totani) se si considera che vengono piazzati circa 2000 ami per imbarcazione, il costo dell’esca ammonta a circa 2000 euro. D’altro canto – ci spiega Zizzo – il prezzo del prodotto all’ingrosso si aggira sui 7/8 euro al chilo ed è rimasto pressoché invariato negli ultimi anni. Anche se poi il prezzo finale per il consumatore aumenta notevolmente con la vendita al dettaglio. Nella flotta italiana sono presenti 12 tonnare volanti e 30 palangari a fronte delle migliaia di palangari presenti negli altri Paesi.

Esistono soluzioni per evitare l’invasione di prodotto estero nei nostri mercati. Ad esempio per ciò che riguarda il tonno rosso che si pesca, in particolare in questo periodo dell’anno, è tollerata una cattura accidentale pari a kg 750. “Questa quantità – continua Zizzo – potrebbe essere accresciuta senza problemi considerato che, grazie a un recente studio per conto dell’ICCAT, è stato verificato come la presenza del tonno nei nostri mari sia aumentata, non si tratta quindi di una specie in estinzione, anzi la sua maggiore presenza va a scapito del piccolo pesce azzurro (alici e sarde), principale alimento del tonno. Si potrebbe allora, sia aumentare la quota di tonno accidentale pescato dai 750 chili tollerati a 1500 chili, sia riaprire le quote tonno ai palangari che sono attualmente sprovvisti di quota. Il prodotto estero importato proviene non solo dal Marocco, ma anche dall’Albania, dai paesi del nord Africa e da alcuni paesi asiatici. La massiccia presenza di pesce spada nei nostri mercati non solo danneggia i nostri pescatori, ma va a scapito anche della qualità del prodotto. Il pesce dell’Atlantico o del Pacifico infatti, non ha le stesse caratteristiche organolettiche di quello del Mediterraneo e sicuramente arriva a noi dopo essere stato congelato. L’eccessiva quantità di prodotto induce infine il compratore a non fare più distinzione tra il pesce nostrano e quello estero.

L’Anapi Pesca lancia quindi un appello agli Organi competenti affinché vengano intensificati i controlli per salvaguardare la flotta italiana e in particolare quella del nostro meridione e della Sicilia, dove l’attività peschereccia è spesso a conduzione familiare e quindi più esposta a rischi di fallimento. L’invito è quello di regionalizzare l’attività di pesca per evitare che le nostre marinerie, già al collasso siano costrette a chiudere.

Aurora Rainieri