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Raccontare i formaggi è un’arte.
Lo sa bene Roberto Rubino, Presidente dell’ANFOSC, che ieri pomeriggio a Palermo presso le Officine Baronali ha tenuto una lezione magistrale sui formaggi a cui hanno partecipato ristoratori, chef e i dirigenti della Coop per quanto riguarda la Gdo. La lezione è stata accompagnata da una degustazione sensoriale dei formaggi Dop siciliani e dai raffinati piatti gourmet proposti dagli chef Francesco Pifaro e Giovanni Porretto.
Roberto Rubino
“Ho iniziato a studiare le erbe, i pascoli, il latte – racconta Rubino – per arrivare infine ai formaggi, un universo in grado di regalare forti suggestioni, ma che conosciamo poco. Se per raccontare la bellezza possiamo trovare infinite definizioni, per quanto riguarda i formaggi è come se mancasse un alfabeto, un lessico che lo possa definire”. E’ bello riconoscere una determinata essenza in un caciocavallo, ma quella particolare nota aromatica è dovuta al caso? Dipende dal latte, dalla tecnica, dai fermenti, dal locale di stagionatura o da altro ancora? E ancora: è bene sapere che Polifemo nel suo antro produceva un formaggio la cui tecnica è molto simile a quella del pecorino o che Columella (scrittore latino di agronomia) ci parla del Manu pressum, l’antenato delle paste filate perché veniva prodotto aggiungendo acqua bollente alla pasta che in tal modo si poteva modellare dando origine al “pressato a mano”. Ma non basta.Parlare del formaggio senza perdersi nell’aurea di poesia che spesso lo circonda è il primo obiettivo che Rubino ha voluto perseguire durante il suo instancabile lavoro. Per prima cosa suggerisce a chi vende il formaggio un criterio per informare il consumatore, educandolo sui processi di produzione e sulla qualità, attraverso la suddivisione dei prodotti nel banco e nel reparto libero servizio secondo due classi: pascolo-stalla e pastorizzazione-latte crudo.
Quello che lui suggerisce è anche un approccio nuovo ed originale ai formaggi dove la tecnica o la degustazione non sono soltanto un modo per cogliere le diverse note aromatiche che un formaggio è in grado di esprimere. “Il formaggio – continua Rubino – deve uscire da un modo troppo poetico di raccontarsi. Il mondo industriale ci propone un formaggio molto grasso che è nelle case di tutti gli italiani. Ma non è quello il formaggio. L’industria ha inventato la pastorizzazione per evitare la carica batterica. Ma la pastorizzazione banalizza il formaggio dando vita a formaggi standard. I produttori di formaggi a latte crudo poi non dovrebbero mai usare fermenti, fenomeno questo più diffuso di quanto possa sembrare sia in Europa che in America”. Tanti, ha spiegato Rubino ad un pubblico molto attento, sono convinti che i fermenti lattici siano un segno di qualità del formaggio: “Qualcuno dovrebbe però spiegare al consumatore che nell’ambiente del caseificio vi sono già milioni di fermenti che naturalmente arricchiscono il latte ed il formaggio”. E allora, verrebbe da chiedersi, come si riconosce un buon formaggio? Il latte crudo (il latte che non ha subito alcun trattamento termico o di microfiltrazione), il colore giallo della pasta, delle forature, la razza (soprattutto se autocna) sono tutte caratteristiche di un buon formaggio. “Potremmo dire – continua Rubino – che il formaggio si fa nella stalla come il vino si fa nella vigna. Ma l’elemento che più fa la differenza è il pascolo dove l’animale può decidere quando e cosa mangiare. Ogni erba, infatti, apporta un contributo diverso all’aroma ed al valore nutrizionale”.
Secondo studi recenti il contenuto di acido linoleico coniugato aumenta nel latte prodotto da animali al pascolo e riduce il colesterolo. Cose che pochi sanno.“Bisognerebbe anche ricordare – conclude Rubino – che l’impiego delle attrezzature in legno fanno parte integrante della tecnologia di produzione di quasi tutti i formaggi tipici. Quando si è cercato di eliminare queste attrezzature i formaggi non erano più gli stessi. In realtà per fare un buon formaggio occorre seguire alcune regole ben precise e cercare di eliminare i difetti che sono comunque pochi e sempre gli stessi. Ma questi si eliminano veramente se i produttori ne condividono la presenza. Su questo devo amaramente constatare che bisogna ancora lavorare molto”.
Rosa Russo
Video realizzato da Roberto Chifari