Alice Feiring
Pubblichiamo in anteprima uno dei capitoli dell'ultimo libro di Alice Feiring, blogger del vino d'oltreoceano tra le più seguite (The Feiring Line) che collabora con il The New York Times. Il libro è stato tradotto da Slow Food editore per l'Italia con il titolo “Vino (al) Naturale” e sarà presentato dalla scrittrice alla kermesse VinNatur, il 7 aprile, alle 12, presso la sala conferenze di Villa Favorita. Costo del libro: 14,50. Pagine: 224.
In un libro del 1989, Appetite for Change: How the Counterculture Took on The Food Industry, l’attivista Warren Belasco scriveva che negli anni Settanta il cibo naturale era visto come un concetto pericoloso che poteva spingere l’opinione pubblica verso un antimodernismo romantico, cancellando i molti anni di propaganda a favore della produzione e trasformazione tecnologica del cibo. Una delle critiche mosse a coloro che (come me) amano i vini “naturali” è che ci siamo lasciati sedurre soltanto da nozioni romantiche del vino. In un modo o nell’altro, i critici ritenevano che fossimo sedotti dal concetto, non dal gusto.
Quando l’ultramiliardario agribusiness si è reso conto che i cibi biologici rappresentavano una minaccia, ha reagito cercando di screditare l’agricoltura biologica (naturalmente, in seguito l’industria ha abbandonato questa strategia e ha cominciato a comprare aziende biologiche in modo da non perdere clienti). Belasco citava Jim Hightower, il quale scriveva che nel 1975 il settore dei cibi biologici, del valore di 500 milioni di dollari, non costituiva una minaccia immediata per l’industria alimentare, valore 160 miliardi di dollari, ma che l’esistenza di alternative prodotte in modo naturale poteva indurre qualcuno a farsi domande su tutte le marche che comprava.
C’è un’analogia diretta con il vino e coloro che lo comprano. Un collezionista di Little Falls nel New Jersey, di cui ho scritto, aveva una cantina piena di vini costosi comprati per via degli alti punteggi che avevano preso. Un giorno si ribellò. Scoprì per proprio conto il vino naturale. D’improvviso quest’uomo sessanta e più anni, innamorato dei vini italiani scaricò i chiacchierati colpevoli, donandone una parte a istituzioni benefiche e vendendone altri all’asta. Iniziò a dare la caccia ai Cappellano, Occhipinti, Radikon, ai vini fatti in anfora, ai vini senza solfiti aggiunti. Se questa situazione si verificasse su larga scala, le grandi marche potrebbero trovarsi ad avere difficoltà a trovare acquirenti, specialmente nella fascia alta di mercato.
Ma le aziende che forniscono all’industria del vino gli additivi imprese come Lallemand e Scott Laboratories non hanno finora partecipato al dibattito. Sono impegnate invece a spiegare la necessità di qualche tipo “naturale” di lievito e di additivi biologici. La reazione contro i fautori del vino naturale nasce in parte dagli enologi, che potrebbero essere minacciati da un cambiamento del paradigma enologico. L’atteggiamento antinaturale è inoltre incoraggiato dal più famoso critico enologico del mondo. Su una rivista dedicata ai ristoranti costui ha elogiato un ristorante di Philadelphia perché non aveva un «sommelier affettato che cerca di venderti un vino che ti distrugge lo smalto dei denti, con livelli di acidità pressoché tossici, fatto da qualche pecoraio su al Nord… Conosciamo tutti il tipo – impedire al mondo di bere un vino buono in nome dell’“enofricchettonismo”». Il sarcasmo del critico allontana l’industria da un dibattito serio sull’effetto che il movimento per il vino naturale avrà sul settore. Come ha spiegato Pollan, un altro riverbero del primo movimento sul cibo degli anni Settanta è stato l’argomento secondo cui ogni cosa è naturale.
(…) Eric Asimov del New York Times ha affermato che il settore del vino naturale è uno dei grandi «vespai» del mondo del vino, osservando che «anche la sola definizione del termine suscita quel genere di dispute talmudiche che di solito si associano ai filosofi e agli ospiti delle trasmissioni sportive». Il San Francisco Chronicle ha scritto quanto sia facile corrompere il termine. Il suo esperto di vino, Jon Bonné, si è imbattuto in una nota che descriveva il modo in cui un enologo «innalzava la qualità dell’uva con gli strumenti più naturali possibili, attraverso una sperimentazione costante con cloni, lieviti, tipi di botte e assemblaggio di vini di diverse parcelle e botti».
Il libro è acquistabile on line su store.slowfood.it