L'uscita è prevista per il 17 di aprile.
Si deve aspettare qualche settimana per conoscere il panorama delle migliori aziende produttrici italiane di olio secondo Slow Food. In questi giorni si stanno concludendo le ultime schede della Guida agli Extravergini 2013 e per il 22 e 23 febbraio è fissata la degustazione finale che si terrà a Roma con 120 campioni e più provenienti da tutte le regioni. Ancora, quindi, nessuna indiscrezione su chi ha conquistato i riconoscimenti ma il curatore, Diego Soracco, ci dà qualche anticipazione. E questa riguarda l'annata che, così come è stata problematica per la vendemmia, su quantitativo di raccolto e soprattutto sulla qualità ha avuto ripercussioni anche sulla produzione olivicola. E' successo diffusamente da nord a sud del Paese, con più o meno criticità. Il cambiamento climatico è sotto gli occhi di tutti, Soracco e i panel regionali ne hanno appurato, nel bicchierino e a 360 gradi, la portata. La qualità si mantiene sempre alta, parametro su cui l'Italia vanta il primato avendo invece perso questo per quantitativo prodotto, posizionandosi dopo la Spagna.
“Mancano i picchi di eccellenza che avevamo riscontrato nell'annata duemilaundici – dice il curatore-. Il clima è cambiato, bisogna attrezzarsi. Abbiamo notato come le olive abbiano subito stress idrico. Ci sono aziende che si sono fatte trovare preparate, ma ancora sono molte quelle che non sono ricorse all'irrigazione di soccorso”. La Sicilia sarebbe, secondo la stima approssimativa che ha potuto fare Soracco, poiché per il dato certo sulle performance dei vari areali dell'olio si deve attendere il verdetto della finale, sarebbe quella che ha saputo meglio fronteggiare l'emergenza. Hanno sofferto le campagne toscane e quelle campane che, sebbene il livello qualitativo lo abbiano mantenuto sempre alto, avrebbero espresso una 2012 leggermente sotto tono.
Nessun cambiamento al format della guida invece. Si ripropone la stesso criterio di classificazione adottato per la precedente che per la prima volta ha introdotto ad un metro di giudizio rivoluzionato non più basato, come era stato fino ad allora, sull'assegnazione delle olive. “Per noi contano le aziende, sono loro al centro di tutto, la loro filosofia, il loro modus operandi. I riconoscimenti rimangono Olio Slow e Grande Olio. Per le restanti si adotta il criterio della presenza in guida. Coloro che entrano significa che hanno passato la selezione a priori secondo i parametri della buona qualità e della sostenibilità”. Per quanto riguarda i due riconoscimenti invece, il sistema di valutazione segue due linee diverse. Nella categoria Olio Slow rientrano quegli olii che rispondono ai valori di Slow Food del “buono, pulito e giusto” , intendendo per il primo la migliore qualità organolettica, per il secondo l'approccio sostenibile dell'azienda, e per il terzo il prezzo giusto calcolato in base al prezzo medio regionale e che tiene conto delle diverse specificità delle produzioni locali. Nella classe Grande Olio possono invece rientrare anche quelli ottenuti da agricoltura convenzionale purché rispecchino il profilo dell'eccellenza.
Potendo avere una visione globale dello stato dell'olio d'oliva extravergine italiano, Soracco tiene a dare un suo commento su ciò che si dovrebbe fare per portare alto il valore del prodotto nazionale. Parla alla luce anche delle ultime decisioni prese a Bruxelles per tutelare la qualità dell'olio extravergine d'oliva e il consumatore stesso. “Sappiamo tutti benissimo – dice- come la categoria dell'extravergine sia così ampia che alla fine dentro ci va di tutto, con la conseguenza che sullo scaffale si trovano olii extravergine anche a due euro. Se davvero si deve operare per tutelare la qualità basta modificare i parametri attuali – e spiega -. Si è stabilito che l'acidità dell'olio debba essere , per esempio, di 0,8 quando invece la maggior parte degli extravergini arriva a 0,3 e non oltre. Oppure, per quanto riguarda i periossidi, la scala prevede massimo venti quando invece normalmente non si arriva neanche a dieci. Se si attuassero le giuste modifiche si toglierebbe parte della enorme produzione che grava su questa categoria. A cosa serve la dicitura cento per cento italiano quando va invece valorizzata e promossa la specificità territoriale di ciascun olio?”. E sulle norme riguardanti l'etichettatura dice: “Che si è concluso? Alla fine nella retro etichetta le varie voci che garantirebbero la qualità del prodotto le scrivono anche quelle aziende che sullo scaffale spuntano quelle famose due euro. Siamo il primo Paese produttore di olio al mondo per qualità, vantiamo una biodiversità che altri Paesi non hanno, con oltre trecento cultivar, vantiamo una caratterizzazione locale dell'olio impressionante, che ci consente di capire se un olio che stiamo degustando, per esempio, sia sardo o calabrese. Eppure, nonostante tutto questo, l'olio non lo si conosce a fondo. Non si fa comunicazione, non lo si insegna nelle scuole”.
C.d.G.