LA CUCINA DEGLI STRANIERI A PALERMO/1
Prima puntata dell’inchiesta di Cronache di gusto. A pranzo in casa di una famiglia del Madagascar. Ecco com’è andata
Se il tacchino
si mangia col cocco
Fatima Mbotizara e sua figlia Esha vivono in una casa bella e luminosa che si affaccia su piazza Giovanni Meli, a pochi passi dal mercato della Vucciria, a Palermo.
L’appartamento è arredato con gusto, con molti oggetti e mobili che richiamano lo stile caldo del Madagascar, il loro Paese di origine. È da lì che Fatima ed Esha si sono trasferite quasi 25 anni fa, ed è lì che la mamma ha intenzione di tornare fra qualche mese. Vuole tornare a Nosy-Be, il luogo che non ha mai smesso di chiamare “casa”, anche dopo tanti anni trascorsi in Europa, a Palermo. E per questo sta portando avanti un progetto: raccogliere fondi per aprire un laboratorio di ricamo nella sua città, per togliere dalla strada una quarantina di sue connazionali. Con questo obiettivo l’8 febbraio organizzerà una cena (info: vehivavy98@libero.it). Esha, 28 anni, invece, si è laureata in Antropologia a Palermo, dove ha sempre studiato, e adesso si è trasferita in Emilia Romagna, ma racconta con gioia le sue vacanze trascorse in Madagascar, che tanto per inquadrarlo geograficamente “è uno stato insulare situato nell’Oceano Indiano, al largo della costa orientale dell’Africa, di fronte al Mozambico”, come recita Wikipedia.
Fatima ci ha aperto la sua casa, ci ha invitati a pranzo, cucinando ciò che avrebbe preparato un giorno qualsiasi. Una colazione informale, a base di ciò che un europeo definirebbe un “piatto unico”. Tutto gira intorno al riso nella cultura gastronomica malgascia. Una scodella di riso in bianco (vary fotsy) non manca mai a tavola, a merenda può essere riproposto il riso rimasto a pranzo, magari aggiungendo un po’ di latte e del miele o un cucchiaio di zucchero, e anche i dolci (che si consumano normalmente lontano dai pasti principali) sono nella maggior parte dei casi a base di riso. Va così anche a casa di Fatima ed Esha. Il pranzo proposto prevede cinque portate che possono essere mischiate nel piatto liberamente: si fa così. Ad accompagnare le pietanze del vino siciliano, un Nero d’Avola prodotto da un’azienda palermitana, oltre al tipico Ranonapagno, una bevanda malgascia preparata riscaldando dell’acqua all’interno della pentola in cui è stato cotto il riso. Il Ranonapagno è l’unica bevanda servita tradizionalmente con i pasti, ma Fatima ama anche il vino e quello siciliano in particolare. “Anche in Madagascar facciamo del vino – racconta lei – ma qui non si trova”. Già, alcuni dei suoi piatti Fatima, che da poco ha anche avviato una sua attività di catering, è stata costretta a “sicilianizzarli”: nel suo antsiary, tanto per fare un esempio, il mango e la papaya verde vengono sostituiti da mele e cipolle, che unite al riso danno un gradevole sapore agrodolce. Un sapore che non ti aspetti è quello del gisy voanio, tacchino al latte di cocco, con aggiunta di scorza di limone, cipolle, sedano, pomodoro. È dolce, ma non stanca e la carne è molto morbida.
Freschissima la rougail-voatabia, una salsa compatta di pomodori essiccati e freschi con aggiunta di menta e basilico. Infine il feliky sakaitany, un mix di verdure (spinaci, giri, fave) che ricorda molto un piatto siciliano.
Il pranzo è finito. Esha prende delle foto della sua casa di Nosy-Be, Fatima mostra i ricami di alcune amiche. Il Madagascar, in fondo, non è poi così lontano.
Marco Volpe
foto di Gianfranca Cacciatore
(1. continua)