di Massimiliano Montes
Una frase buttata lì quasi per scherzo con Nino Barraco si è trasformata in una piccola verticale.
Ricordando questo mio desiderio, un pomeriggio di fine estate, durante una visita alla sua azienda, Nino ci ha regalato il piacere della degustazione di alcune annate del suo Grillo ormai fuori commercio.
L'azienda Barraco produce circa 18.000 bottiglie da uve Grillo, Catarratto, Pignatello (detto anche Perricone), Zibibbo e Nero d'Avola, coltivate nei territori che si estendono tra Marsala e Triscina, in provincia di Trapani. Nino è stato un antesignano della produzione naturale del vino. Quando ancora in Italia non si parlava di vini naturali, sentiva la necessità di produrre un vino capace di esprimere al meglio la propria essenza ed il territorio. In questo contesto ha cercato di recuperare una vinificazione tradizionale, soprattutto per il Grillo, con quei metodi che precedettero l'utilizzo di quest'uva per la produzione del vino fortificato chiamato Marsala.
Il Grillo è la base del Marsala, e la sua vinificazione, nel secolo passato, è stata sempre più finalizzata al gusto e alla realizzazione del vino liquoroso. Nino Barraco ha cercato di reinterpretare il vitigno, di dargli una nuova vita, indipendente, che ricordasse il modo di fare vino precedente all'arrivo nel trapanese di John Woodhouse e delle famiglie storiche del Marsala, i Florio e i Pellegrino.
Contrariamente al solito, preferisco iniziare con l'annata di Grillo più vecchia, la 2004, la prima prodotta da Nino, perché l'evoluzione terziaria di questo bianco è degna di nota. Complesso, con un naso che spazia dai fiori secchi, a quell'aroma di linfa che sprigionano alcune piante grasse. Colpisce un sottofondo di frutti di mare, subito sovrastato da melone giallo e dalla pesca matura, con quell'impronta ossidativa espressamente voluta ed una mineralità palpabile.
Ancora di buona acidità, con una retrolfazione molto corrispondente al naso, ed una persistenza decisa. È un vino corposo, di cuore, caldo, mediterraneo nonostante suggerisca somiglianze con alcuni cugini francesi. La sua evoluzione aromatica ricorda infatti quella di alcuni famosi Chenin Blanc della Loira ed è sicuramente meritevole di attenzione.
Il Grillo 2006 ha aromi di frutta gialla, più in vista seppur stemperati dalla sapidità tipica del vitigno. Ha note evolutive terziarie meno intense e meno presenti, con una florealità che ricorda il lilium. Sembra sulla strada del 2004, di cui ricalca le orme.
Del Grillo 2010 abbiamo già parlato su cronachedigusto.it qualche mese fa dandone un'anteprima. Piccolo capolavoro. Di colore giallo dorato intenso, complesso già alla vista. Al naso è perfetto, in preciso equilibrio. Si apre, con note minerali profonde, intense. Mai scorbutiche o eccessive, di quella mineralità complessa ma composta che si spera sempre di riconoscere in un vino. La salinità tipica delle epoche di maturazione precoci del Grillo è, in questa annata, ridotta ai minimi termini. La mineralità è perfettamente bilanciata dal frutto, che si staglia deciso, con note di albicocca fresca, mela, pesca bianca, mellone giallo e guaiava, stemperate da una mandorla sottile, insieme ad una florealità di caprifoglio, biancospino e tiglio. La bevibilità è veramente godereccia, quasi carnosa, con una lieve ma persistente acidità ed una retrolfazione che richiama in toto l’ampio spettro aromatico di apertura.
Il 2011 pecca ancora di giovinezza. Ha un residuo zuccherino lievemente più alto e oltre agli aromi descritti nelle annate precedenti fanno capolino note di ortaggi freschi e di sottobosco. Ha una buona acidità e una lunga persistenza gustolfattiva.
La degustazione prosegue con un Catarratto 2010 caratterizzato, in questa fase evolutiva relativamente giovane, da una impronta di caramello, frutta secca e frutta gialla. In sottofondo emergono tenui sentori idrocarburici e sottili note speziate.
A seguire il Pignatello 2010 dal naso selvatico di cuoio e di sottobosco, con un frutto in secondo piano che ricorda il mirtillo nero e le bacche dei cespugli di bosco, ed una timida florealità di rosa.
Il Nero d'Avola 2010, con note agrumate di arancia rossa, ginestra, fiori di campo, corteccia, cuoio. Dall'acidità esuberante, tannini raffinati e persistenza notevole.
Per finire il Milocca 2006, un vino dolce da uve Nero d'Avola surmature. Il nome in dialetto locale significa “stupido” ed in passato indicava i vini venuti male per difetto di fermentazione. Questo Milocca invece è tutt'altro che stupido, coinvolge ed inebria con i suoi aromi floreali che si confondono fra note balsamiche e di caffè, cacao e confettura di mirtillo. Al palato ha una buona acidità, con una tannicità non eccessiva ed una buona persistenza.
Vini Barraco
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