Sono trascorsi 24 giorni.
Il segno del fuoco è ancora vivo. Lo sguardo si posa su uno scenario che letteralmente fa stringere il cuore. In una delle contrade dell’Etna, il territorio del vino che sta dando prove tra le più interessanti di quest’ultimo decennio enologico, a distanza di tempo, a vendemmia iniziata, ci siamo recati nella tenuta della cantina Passopisciaro dove è divampato uno degli incendi più disastrosi di agosto. Annunciato alla redazione di cronachedigusto.it dal produttore stesso Andrea Franchetti a poche ore dallo spegnimento. Parliamo di una realtà con una trentina di ettari di cui 8 vitati. Una parte di questi è andata bruciata, principalmente quelli coltivati a Guardiola, la Montrachet dell’Etna così come Franchetti ama definire la contrada, e in contrada Zotto Minnella, un micro cru dell’azienda. Siamo sul versante Nord del vulcano, nell’agro di Castiglione di Sicilia, tra gli 800 e i 1000 metri d’altezza.
Un campo di battaglia dove si deve essere appena concluso uno scontro efferato tra nemici. Questo è quello che si presenta agli occhi. I filari raggiunti dal fuoco giacciono spettrali come corpi di caduti.
Una visita che mai ci si augurerebbe di fare, ma che fa riflettere su come un mondo mosso dalla tenacia e dalla volontà di dominare la Natura, che si regge sulla fatica e sul lavoro dell’uomo, si dimostri poi così fragile e indifeso. Lo si vede dalla cenere, una coltre candida sul fondo del vigneto che da lontano dà l’idea della neve. Dal contrasto che fa con il colore del terreno annerito dalla combustione, ancora più nero della lava di cui è costituito. Dai pampini e dai grappoli accartocciati. E soprattutto dall’odore penetrante del legno arso, di carbone. Il “reperto” forse più raccapricciante dell’incendio, perché respirato. Attraverso il senso dell’olfatto si percepisce in modo fulmineo l’inesorabilità del fuoco, e si ha la sensazione di avvertire, quasi per un momento, il calore infernale che doveva dominare quel piccolo angolo di Etna durante l’incendio. Nel silenzio del vigneto trova spazio, in chi osserva, solo l'amarezza. In un territorio estremo, dove il pericolo dell'eruzione è sempre imminente e non prevedibile, quello causato dall'uomo non si riesce a digerirlo.
“Ci siamo mobilitati tutti quel giorno, compreso i familiari e gli amici – racconta Vincenzo Lo Mauro, amministratore di Passopisciaro, che ha fatto da cicerone tra le vigne distrutte -. Il fuoco è arrivato a venti metri dalla cantina. Non ci sono parole per descrivere la rabbia che abbiamo provato. Adesso le vigne necessiteranno di almeno cinque anni per riprendersi e per essere produttive”. Lo Mauro mentre racconta evoca poi un'immagine che gli è rimasta impressa. “Soffiava vento di libeccio. Per alcuni attimi cambiava repentinamente. Le fiamme provenivano dal ginestreto che fa da corona ai vigneti, si piegavano sulle vigne, le bruciavano da sopra”. Come un’onda che si frange.
Chardonnay, Petit Verdot e Cesanese di Affile, il vitigno autoctono del Lazio che Franchetti ha voluto portare in Sicilia, sono le varietà compromesse. Di Chardonnay e Cesanese è andato distrutto metà del campo. “La produzione 2012 è seriamente compromessa – ci riferisce Lo Mauro – Pensiamo poi che produciamo con basse rese. Quattro, cinque grappoli per pianta. Il raccolto è diminuito di molto. Anche perché i grappoli vicini alle viti bruciate li stiamo lasciando sulle piante. Al disastro dell’incendio si aggiunge anche la siccità, non piove qui da maggio. Dobbiamo irrigare i terreni ogni notte”
Agli effetti del clima siccitoso si aggiungono anche quelli dovuti allo scompenso nelle escursioni termiche, che contraddistinguono questa parte dell’Etna. Forti sbalzi di temperatura dal giorno alla notte, condizione benefica per la qualità delle uve, adesso diventati più miti perché è stato inghiottito dal fuoco anche il bosco secolare di pini che si estende attorno alla tenuta.
L’accaduto avrebbe potuto assumere proporzioni ancora più nefaste per il mondo del vino dell’Etna. Senza l’intervento tempestivo, le fiamme si sarebbero propagate nelle tenute di altre cantine vicine, come quella di Planeta, in contrada Sciara Nuova, confinante con la tenuta di Franchetti (le separa solo una strada). Salvata in estremis.
Fotografia scattata durante l'incendio scoppiato nella tenuta
La mente di chi è intervenuto per arginare l’incendio ancora oggi ripercorre quelle ore trafelate e rivede le colonne di fumo sovrastare le terrazze, ma l’animo non sembra essersi piegato anzi si è rinforzato. La squadra di Passopisciaro e Franchetti stanno lavorando con la voglia di eseguire al meglio la vendemmia per riscattare un’annata che difficilmente dimenticheranno ma che “sarà di altissima qualità”, assicura Franchetti, nonostante tutto.
Ecco una documentazione fotografica, fornita dalla cantina, che mette a confronto le immagini dei vigneti prima e dopo l'incendio.
Campo di Petit Verdot
Terrazze con veduta sul ginestreto
Campo di Petit Verdot di Casette Nord
Un'altra parte della tenuta devastata
Dettaglio sui filari
M.L.