di Stefano Gurrera
Rosato è bello. Peccato che non tutti ne siano convinti. Ed un secondo rammarico sta nel non capire perché questo si registri, in modo particolare, anche in Italia.
Nella civilissima Francia, ad esempio, i rosati o rosé come li chiamano, e con molto charme, sono vini che vantano un loro pubblico di convinti estimatori e nessuno si sogna di sminuire l’importanza e il prestigio che essi riscuotono. I transalpini ne hanno sempre apprezzato sia la versatilità che l’agio di abbinarsi a molti cibi, sia la virtù di esaltare le qualità dei loro celebrati formaggi e anche per dirimere spesso, e al ristorante, il dibattito su qual unico vino che si possa bene abbinare con carne e pesce. Oltre naturalmente ai piaceri sensoriali offerti dalle qualità che le loro produzioni registrano.
Allora perché il consumo dei rosati in Italia, e soprattutto in Sicilia, rimane ancora limitato nonostante più di un positivo requisito succitato combacia perfettamente con le nostre produzioni isolane e/o italiane? Se lo sono chiesti i dirigenti dell’ Irvos, e ne hanno cercato, e continueranno a farlo, una risposta, visto che anche la qualità medio-alta della produzione isolana, e in particolare sull’Etna, attestata su livelli medio alti, non possa essere un fattore che giustifichi sui mercati indecisione e indifferenza. E magari porre in atto, una volta trovate le risposte, dei possibili rimedi. E che sia tutto e solo effetto di un’inappropriata e insufficiente comunicazione? O di tare non disossidabili degli anni ’80 quando i rosati venivano definiti vinelli minori? Ma quale leva attivare e su, o sotto, quale macigno?
Un momento della degustazione
Il “Banco d’assaggio dei rosati dell’Etna: la qualità percepita” è stato il titolo del primo atto di un nuovo progetto realizzato dall’Irvos, andato in scena a Castiglione di Sicilia, provincia di Catania, e mirato oltre che a trovare delle risposte ai succitati quesiti, a ridisegnare il profilo del nuovo consumatore che tempi e mezzi di comunicazione hanno tangibilmente cambiato e soprattutto evoluto, anche culturalmente, rispetto a quell’ utente dei decenni passati. Per poi individuare gli strumenti adatti ad una nuova comunicazione.
Antonio Scacco e Salvatore Giuffrida mostrano una delle etichette
analizzate dal panel di assaggio
Antonio Scacco
Una sorta di osservatorio che ha coinvolto un panel d'assaggio di 60 persone riunitosi “a porte chiuse”, (in verità del tutto spalancate per combattere il gran caldo d’agosto) nel Castello di Lauria. Consumatori abituali di vino, confusi tra assaggiatori dell'Onav, dell'Ais e della Fisar e giornalisti di varie testate per raccogliere più che dei giudizi, profili indicativi che definiscano un modello di approccio alla degustazione di questa tipologia. Potenziali utenti che bene istruiti da due “ricercatori” dell’Irvos, Antonio Scacco, esperto in analisi sensoriale, e Salvo Giuffrida enologo, hanno svolto con merito il compito, quello di limitarsi a confessare sentimenti ed emozioni, quando ci sono state, guardandosi bene di astenersi da ogni giudizio o classifica di merito. Così con piacevolissima sorpresa abbiamo scoperto che quella presunta maturità è autentica.
Scheda di valutazione per l'analisi dei vini
Ali alla fantasia e fantastica creatività, nei giudizi. Nonostante le schede indicassero di scegliere solo tra tre colori: “rosa chiaro”, “rosa cerasuolo”, “rosa rubino”. Molti hanno aggiunto “fior di pesco, occhio di pernice, persino “pelle d’angelo” e “coscia di ninfa emozionata”. Per finire con richiami di sensazioni e retrogusti che “evocano cori verdiani”. Insomma un’esperienza preziosa questa degustazione di rosati dell’Etna svoltasi col criterio “alla cieca” ma seguita con una seconda batteria di altri sei rosati di cui sono stati resi noti azienda, etichetta ed annata, (solo in seguito è stato reso noto che si trattavano degli stessi della prima batteria, ma serviti in ordine random per poi verificare l’uniformità e quindi l’attendibilità di giudizio).
Una delle bottiglie degustate
Giudizi che saranno quindi divulgati e resi noti soprattutto ai naturali fruitori finali ovvero i produttori dell’Etna che in questa circostanza erano rappresentati dall’aziende Valenti, Terre Nere, Barone di Villagrande, Feudo del Cavaliere, Scilio, Terre dell’Etna. Spetteranno a loro comunque svolgere il compito finale più importante, quello finalizzato al raggiungimento di un’immagine dei “rosé” più alta di quella attuale affinché questa categoria s’inserisca definitivamente nel circuito virtuoso dei vini di cui si parla, si scrive e soprattutto se ne può godere ancor di più di quanto se ne faccia oggi.