Riccardo Ricci Curbastro (nella foto), presidente di Federdoc, interviene sul caso dell'etichetta prodotta da una cantina sul lago di Costanza che chiaramente scimmiotta il Prosecco.
Caso di pirateria, fenomeno a quanto pare non raro in Germania, a danno del Made in Italy e sollevato qualche giorno fa su cronachedigusto.it (cliccare qui). Espone le cause e le dinamiche che, a livello internazionale, ancora impediscono una reale tutela dei prodotti d'eccellenza dell'agroalimentare a denominazione. Inoltre anche lui si fa testimone di un altro caso di contraffazione rintracciato in Canada qualche giorno fa inviandoci fotografie di etichette che ammiccano ad altre perle enologiche del Bel Paese, al Valpolicella, al Barolo e al Chianti.
di Riccardo Ricci Curbastro
Vi ringrazio per la preziosa opportunità di illustrare un problema grave del settore agroalimentare italiano, quindi non solo del vino.
Quando si ha successo è inevitabile essere imitati e per fortuna noi siamo in questa condizione: il vino italiano ha successo in tutto il mondo, è una bandiera del nostro Paese e inevitabilmente nascono le copie più o meno verosimili che dobbiamo in qualche modo bloccare.
L'Unione Europea da tempo porta avanti, non sempre con la dovuta coerenza ed il necessario coraggio, un progetto che vuole considerare una Denominazione di Origine alla stessa stregua di un marchio registrato. Quest'ultimo è riconosciuto in tutto il mondo grazie a registrazioni in ogni Paese, è generalmente proprietà di un singolo o di una società, per bloccare una sua copia è necessario che il proprietario si rivolga ai tribunali del Paesi ove è avvenuta la contraffazione. Viceversa la Denominazione d'Origine è un patrimonio collettivo appartenente ad una comunità, i produttori di quel territorio, ed è riconosciuta in un apposito registro unico tenuto a Bruxelles, peraltro aperto ai prodotti di tutto il mondo per cui sono oggi riconosciute Denominazioni quali Caffè di Colombia, Riso Basmati dell'India, vini Californiani della Napa Valley o Australiani di Barossa Valley. La Denominazione, una volta riconosciuta, dovrebbe essere automaticamente difesa in caso di contraffazione dai singoli Paesi Comunitari attraverso i loro organi di vigilanza, in Italia ad esempio dai Nas e dall'Icqrf.
A livello internazionale questo ambizioso progetto è ampiamente incompleto, perché non si sono mai chiusi gli accordi internazionali sul commercio WTO che avrebbero potuto riconoscere le Do e neanche si è data piena efficacia agli accordi Trips che all'articolo 23 prevedevano un registro di protezione per i vini; e perché, in assenza di accordi generali, l'Ue procede con accordi bilaterali con i singoli Stati che spesso risentono di quella mancanza di coraggio cui già accennavo, motivo per cui si riduce la lista delle denominazioni riconosciute e si lascia correre sui casi più spinosi. A questo proposito riporto un passaggio della Risoluzione del Parlamento europeo dell'8 marzo 2011 sull'agricoltura dell'Ue e sul commercio internazionale (2010/2110(INI)) che condanna l'approccio della Commissione che, troppo spesso, accorda concessioni sull'agricoltura al fine di ottenere un migliore accesso, nei Paesi terzi, al mercato dei prodotti e dei servizi industriali. Credo non si debba aggiungere altro ma sottolineo che si tratta di una Risoluzione del Parlamento Europeo.
Insomma, la strada da percorrere è ancora lunga ma probabilmente siamo comunque sulla rotta giusta per quanto riguarda il progetto meno per ciò che concerne la sua realizzazione. Detto questo, sul domani resta l'oggi con i suoi problemi di contraffazione, italian sounding, agropirateria. In Europa generalmente ci si difende benino con segnalazioni ufficiali agli organi di vigilanza dei Paesi ove avviene il misfatto, in caso di mancato intervento di sequestro della merce è sempre possibile ricorrere ai tribunali. Oltretutto, il Regolamento CE sulla Politica della Qualità, di prossima emanazione, prevede anche la difesa e l'intervento ex officio di qualsiasi Paese comunitario, nel caso di contraffazioni accertate.
Fuori dall'Europa, viceversa, possiamo solo difenderci registrando in ogni singolo Paese le Do come Marchi Registrati (Trade Mark) e poi ricorrere ai locali tribunali in caso di contraffazione. Questo implica alti costi per la registrazione, altissimi costi per i ricorsi giudiziari che hanno spesso esiti incerti. Il problema quindi cè e non può essere scaricato sui produttori e sui Consorzi che oggi investono per proteggere queste perle della ricchezza nazionale; dovrebbe essere un problema di politica nazionale ed internazionale Italiana ed Europea, ma spesso, al di là di proclami e degli articoloni poco si muove e molto più spesso gli unici ad agire sono i nostri Consorzi con spese che superano i centomila euro ciascuno per le loro registrazioni, quindi milioni di euro l'anno complessivamente, soldi sottratti alla promozione e all'apertura di nuovi mercati.
Evidentemente, i riflettori accesi su questo fenomeno dellagropirateria non hanno illuminato a fondo il problema in ambito comunitario che è quello di mettere al centro della politica internazionale la protezione di uno dei pochi giacimenti di petrolio vero che abbiamo: l'agroalimentare.
Qualche tentativo in verità si è fatto, facendo riconoscere negli accordi Acta del 2011 le Denominazioni di Origine come Diritti di Proprietà intellettuale, ma senza poi avere modalità applicative concrete. Il Ministro Catania, al quale abbiamo sempre segnalato, anche quando era tecnico del Ministero, i nostri casi di contraffazione, ha ben presente la questione, ma è consapevole lui stesso della debolezza delle Istituzioni europee e per questo invita ancora a registrare le Denominazioni come marchi. Abbiamo almeno speranza che i relativi costi di registrazione possano ora essere riconosciuti nei Piani Nazionali di Sostegno. Ma per il momento è solo una speranza: questo lo deve riconoscere la Commissione.
Sono appena rientrato da un viaggio in Canada e le allego le foto scattate in un supermercato di una grande catena di quel Paese, ci troviamo di fronte ad una doppia contraffazione: Valpolicella, Chianti e Barolo sono denominazioni italiane e ritengo siano incluse negli accordi bilaterali con il Canada, anche se non ho ancora potuto verificarlo. Inoltre il vino è per la legge europea esclusivamente il prodotto ottenuto esclusivamente dalla fermentazione alcolica totale o parziale delle uve fresche, pigiate o no, o del mosto di uva (annesso IV punto 1 del reg. 479/2008 ) come si può chiamare vino un kit fatto di polveri e zuccheri che aggiunti ad acqua danno in sole quattro settimane un fantastico Barolo, Valpolicella o Chianti?
In passato abbiamo chiesto ripetutamente all'UE un intervento duro su queste evidenti mistificazioni del nostro lavoro di vignaioli ma perfino in Inghilterra questi prodotti sembrano essere ancora in vendita. Ritorniamo allora alla necessità di essere più coraggiosi nella difesa del nostro patrimonio, la Regina Vittoria mandava le cannoniere, la Tatcher mandò le corazzate, noi cosa saremmo disposti a fare al di là dei proclami sui giornali?