“Qual è il miglior abbinamento con la pizza? “Dipende dalla pizza ovviamente”.
Allora facciamo che sia una Margherita? “Dipende sempre dagli ingredienti, continuo a dire. Ma se sono genuini, con la farina di qualità, la mozzarella di bufala, magari la Dop della Campania, che anche qui a New York arriva fresca, il pomodoro di San Marzano, un buon olio extravergine e un basilico profumatissimo, la mia scelta naturale cadrebbe su vini che con la pizza esprimono i caratteri della regionalità come possono farlo il Falanghina o il Fiano di Avellino.
Ma se vogliamo raccogliere gli “echi” di novità che provengono dalla Sicilia, allora la scelta azzeccata cade su un buon Frappato se non proprio un Cerasuolo di Vittoria o ancora un bel Nerello mascalese “from Mount Etna”.
Sarebbe un banalissimo “deja ouï dire” da far decadere se questo soliloquio a due voci, sommariamente tradotto e ricucito, non l’avessimo letto su di una pagina del “New York Times” uscito ieri. Era incastonato nella rubrica “Dining & Wine” firmata da Eric Asimov, voce di riferimento per i gourmet della Grande Mela per non dire di mezz’America. L’articolo integrale “postato” col titolo ” Wines and Beers, by the Slice” lo si può leggere a questo link.
Non aggiungono altro in verità i voli pindarici che l’autore compie attorno al gioco degli abbinamenti tra pizza e bevande (ci aggiunge Birra e Coca Cola, annettendo, in verità, qualche buona nozione sulla filosofia della qualità con un convincente distinguo sulla “vera” pizza artigianale e quella industriale) se non quello di mettere in mostra una vanitosa cultura e una fatua conoscenza dell’enologia mondiale.
Proponendo persino miti ed icone dell’enologia francese. Con la pizza? “So allow me to suggest something else entirely: Champagne” azzarda. (Permettetemi di suggerire qualcosa di diverso: Champagne). Perché ciò che ermeneuticamente si poteva cogliere da questa notizia lo si è fatto. Ed è quello che vi si individuano gli strumenti più efficaci per gestire la crisi. Individuabili in quei lettori ottici capaci di definire la sociologia dei mercati. Perché l’articolo, che consigliamo di leggere, lascia intendere che la qualità del bere e la cultura del buon nutrirsi si sta evolvendo anche negli States.
Ci sono stati di recente altri eventi a farci maturare la convinzione che il vino italiano di qualità, assieme al cibo e la cucina italiana, non sono mai stati così popolari a Manhattan. E gli aumenti dell’export lo hanno già fatto capire da tempo. E c’è da aggiungere anche gli straordinari successi di pubblico di eventi, come Identità Golose di New York, ovvero il congresso dell’Alta cucina italiana, di Paolo Marchi e i “Tre Bicchieri” la guida del Gambero Rosso, presentata in un Metropolitan Pavilion già pieno dopo neanche quindici minuti dall’apertura con biglietti tutti esauriti nelle prevendite, nonostante i prezzi fossero tutt’altro che modesti.
“Il pubblico di New York è uno dei più esigenti e sensibili al mondo: e sa cogliere bene sia la storia che il valore di un vino. E non è vero – hanno commentato gli organizzatori italiani – che piacciono solo i vini morbidi e super fruttati, anzi, il cliente newyorchese è abituato ad apprezzare un vino nella sua evoluzione, e sa anche aspettare e cogliere in pieno le sfumature del tempo”. Eric Asimov evidentemente conosce bene il profilo dei suoi lettori.
Quando consiglia un abbinamento lo certifica con la descrizione delle caratteristiche del piatto e degli ingredienti che lo compongono. E al di là dei peccatucci, castigabili, della sua vanità, sa bene persuaderli e con le giuste parole. Infatti conclude così l’articolo: “I think people really underrated pizza because there’s so much terrible pizza,” (Penso che la gente a volte ha ragione a sottovalutare la pizza perché c’è così tanto mediocrità tra i pizzaioli newyorchesi).
Ma quando si trova negli ambienti giusti allora li sa esortare così: “If you’re going to get good pizza, why not drink better wine with it?” (Se hai intenzione di goderti una buona pizza, perché non bere con essa un vino migliore?). Eric Asimov andrebbe nominato ambasciatore in America del vino europeo.
Stefano Gurrera