Una Sicilia del vino al femminile quella sondata dalla penna di Andrea Zanfi nel libro “Sicilia, Diari di Vendemmie”, edito dalla S&B.
Lo scrittore toscano amante e conoscitore dell’Isola, a cui ha già dedicato due pubblicazioni “Viaggio tra i grandi vini di Sicilia” e i “Vivo è – i Mercati del pesce in Sicilia”, vi ritorna con un occhio da osservatore, scegliendo questa volta come interlocutrici privilegiate le produttrici di vino. Si tratta di un diario di viaggio che si evolve in 200 pagine, scandito per giorni e costellato di appunti di viaggio, riflessioni e impressioni fissati con uno stile mordente e profondo. Dialogando con loro, frequentando la loro realtà, accompagnandole nella vita di cantina e tra i filari durante la vendemmia, Zanfi ritrae donne alter ego di una terra colorata, ricca di passione che cela una forte ambizione.
“Dopo dieci anni che frequento la Sicilia questa volta vi ho trovato un grande senso e una grande voglia di fare, ho notato che c’è un desiderio di lasciarsi alle spalle ciò che era, che è stato, l’immobilismo. Si è presa coscienza che questa terra può dare di più. Vedo opportunità – commenta lo scrittore -. Ho visto negli occhi di queste persone la voglia, la frenesia di volere raggiungere obiettivi. Sono donne che stanno con i piedi in due staffe, una in Sicilia e l’altra nel mondo. Donne che sanno confrontarsi con il mondo, pur non avendo voglia di staccarsi da questa terra, che hanno deciso di fare diversamente da come venti anni fa hanno fatto altri uomini e altre donne. Loro invece hanno voluto restare cocciutamente legate alla loro terra, con la volontà di darle un’identità”.
Una terra quindi con una marcia in più la Sicilia ritrovata da Zanfi, più competitiva rispetto ad altre realtà proprio grazie al fattore femminile e prettamente siciliano. “C’è una unione di forza tra queste donne, la famiglia, la terra e il lavoro, questi sono elementi che non sono riuscito a staccare e a portare su un piedistallo differente. Forse ho riscontrato questo nelle più giovani, ma le altre donne sono portatrici di un meccanismo che li unisce tutti. Personalità uniche nel panorama nazionale, atipiche, creano un distinguo tra la donna imprenditrice del vino siciliana e il resto delle altre italiane. Le quali hanno una visione imprenditoriale della loro terra. Invece in Sicilia la donna è ancora legata con un rapporto estremamente intelligente e forte all’ambiente in cui opera, e lo difende. E tutti i sacrifici li fa per essere protagonista di quello che ha costruito, lo fa per la famiglia, per i figli, per il territorio”.
I territori sono decritti da Zanfi come isole, che non si possono paragonare tra loro, ciascuno unico a sé. “Non parlo di isola, parlo di isole, di un continente, di terre, non uso mai il singolare nel mio libro. Difficile stabilire quale possa essere il territorio che più mi ha sorpreso. Ho voluto affrontarequesto viaggio come un deja vu dei miei viaggi fatti in precedenza, con un altro spirito, da osservatore, mi ha consentito di analizzare tutto in modo molto più sereno e tranquillo. La Sicilia ha una complessità che non finisce mai di stupire, è sempre in progress, ha spazi di crescita estremamente grandiosi e che devono essere supportati da scelte politiche, programmatiche e da una grande volontà da parte degli imprenditori di misurarsi con le loro stesse capacità. Un miglioramento generale c’è del mondo del vino siciliano, negli ultimi tre anni ha fatto passi da gigante, enormi, e per dirla con una espressione prettamente siciliana “ancora non siamo a niente”, è questo il concetto che i siciliani hanno dentro”.
Il libro si struttura in un doppio racconto letterario e fotografico. Questo affidato all’occhio di Giò Martorana. Le pagine sono accompagnate da un reportage fotografico voluto dall’autore proprio in bianco e nero.
Foto che fanno da supporto alla descrizione dei quei momenti venutisi a creare durante il viaggio nelle zone a spiccata vocazione vitivinicola durante la vendemmia.
In anteprima uno stralcio dalle prime pagine del volume.
Fine Agosto, Martedì – È stata una piacevole traversata quella che dal porto di Civitavecchia mi ha condotto al capoluogo siciliano e anche se oggi non si giunge a destinazione avvolti dal chiarore dell’alba, come accadeva qualche anno addietro, è sempre suggestivo entrare con la nave nel golfo di Palermo.
La città è già in movimento ed il traffico intenso è udibile anche dal parapetto del ponte più alto del traghetto.
Guardo il brulicare di persone che animano le banchine dello scalo marittimo e il via vai di auto e mezzi intenti ad uscire dal porto per essere abbracciati dalla città, o ingoiati dalle pance fameliche di enormi navi che non ne sembrano mai sazie.
Inizia oggi il mio viaggio; quello che mi condurrà per questo continente siciliano, fra i vigneti e le cantine di alcune aziende vitivinicole sparse nelle sue mille contrade.
Per un istante cerco d’immaginarmi cosa fosse Palermo un paio di secoli fa e quale spettacolo offrisse di sé a chi arrivava dal mare, come ho appena fatto io.
In mente ho vecchie immagini che la memoria ha preso in prestito da qualche libro.
Più che altro disegni e acquarelli di un tempo lontano.
Alzo gli occhi cercando d’abbracciare con lo sguardo tutto il paesaggio circostante, delineando i tratti di quell’anfiteatro naturale che un tempo veniva identificato con la “Conca d’Oro”, quella che da Altofonte, a sinistra, e Monreale, a destra, scende fino al mare. Un tempo, chi sbarcava da un mercantile doveva ricevere ben altra impressione di questa città.
Questo antico e lento pensiero mattutino mi riconduce ad un’altra Sicilia, quella di Goethe, di Byron, di A. Dumas e al loro Gran Tour d’Italia, ai loro appunti di viaggio nei quali descrivevano minuziosamente la scoperta di queste terre, delle loro coste, delle campagne e delle montagne, le stesse che ho visto tante volte nei miei ripetuti incontri con questa Sicilia.
Montagne che in alcuni punti delimitano valli larghe poco più che “dei solchi d’aratro” in mezzo alle quali scorrono fiumi esili come capelli che d’autunno scendono dal cielo sull’erba e poi fino al mare, mentre d’estate giocano a nascondino lasciando al sole l’ingrato compito di crogiolare solo le pietre dei loro secchi culi.
Sono montagne grandi e alte con le quali i siciliani calcolano la distanza esatta fra la terra e il cielo.
Ricordo che proprio Goethe, dopo il suo lungo viaggio in Italia asseriva che: “senza conoscere la Sicilia, non ci si può fare un’idea dell’Italia… È in Sicilia che si trova la chiave di tutto”.
Del resto, più visito questo continente dalle mille isole e più credo che avesse ragione, arrivando a convincermene così tanto che spesso mi trovo a discuterne animosamente con qualche buon pensante padano.
Ma nonostante siano quindici anni che l’attraverso in lungo e in largo sono ancora qui, per cercare di capire cosa sia, veramente, questa terra.
Forse ciò che voglio sono solo delle conferme che, certamente, non arriveranno mai ed è questa l’unica certezza con la quale tornerò a casa; ma per non avere rimorsi sono diventato scrupoloso non lasciando niente al caso, curando ogni minimo particolare di questo viaggio, arrivando persino a sminuzzare il tempo, distruggendolo e ricomponendolo e segmentando ogni istante di queste vendemmie siciliane a cui parteciperò per potermi ritagliare degli spazi nei quali godere intensamente delle cose, senza abbandonare il mio originale programma.
Sapevo che per quanti calcoli avessi potuto fare e per quanto fossi stato ligio a ciò che avevo stabilito non avrei mai potuto rispettare il programma originale; vuoi per la stagionalità delle vendemmie iniziate già da tempo in Sicilia, sia a causa dell’incerta disponibilità fornitami dai miei ospiti, che non avrebbero sempre rispettato i tempi da me ritenuti ottimali.
Dovrò viaggiare lungo il perimetro costiero e nell’entroterra, incrociando strade di campagna e autostrade e concludendo il mio percorso sulla Muntagna, quella più alta di tutte, quella posta più vicino al cielo, proprio sui bordi del suo cratere che mugghia, sputando fiamme e fumo, e che quando ci cammini sopra hai la netta sensazione che sotto i piedi viva l’inferno.
Un viaggio d’approfondimento per il quale ho scelto come compagne donne e femmine di questa terra che hanno deciso di fare le imprenditrici e produrre vino; un viaggio che dovrà essere sgombro da remore e pregiudizi; intrapreso guardando ciò che mi circonderà, con gli occhi del corpo e quelli dell’anima.
Dentro sento crescermi, ad ogni istante, una forte e naturale ispirazione per l’avventura, per la conoscenza, per la parola; la stessa parola con la quale si sono accostati alla Sicilia poeti come Omero, Virgilio, Ovidio e Teocrito, che ha ispirato Verga, Pirandello e Sciascia e che, pur essendo mia amica, non mi dà garanzia di raggiungere i loro stessi risultati letterari.
Certo sarebbe bello avere al mio fianco uomini come quelli che mi sono appena venuti in mente. Uomini che faciliterebbero il mio compito aprendomi a visioni più complesse e semplificate di queste Sicilie che devo visitare.
Ma questo non è possibile…
… E allora dovrò fidarmi solo del mio istinto, trovando il coraggio per far si che la penna non tremi o che la parola non manchi.
Ma perché mai dovrei avere timori?
Questa è la terra che invita al viaggio, incline all’ospitalità e all’accoglienza, dove hanno trovato dimora tanti popoli e sulla quale si sono radicate la fede per Giunone, Giove, Mercurio ed Ercole e quella per il mio stesso Dio, al quale, uomini timorosi e rispettosi della sua legge hanno innalzato monumenti e cattedrali come quelle di Cefalù e di Monreale o la Cappella Palatina del Palazzo dei Normanni qui, a Palermo.
Sospiro, e dopo aver gettato dall’alto un ultimo sguardo a questa città, scendo dalla nave e inizio il mio viaggio.
M.L.