A quattro anni rubava i pezzetti di impasto alla mamma, poi il sempre crescente amore per la tavola in generale, e con il passare del tempo l’inseparabile passione per la cucina.
Si scrive all’alberghiero, ma la sua strada non è fare il cameriere, bensì creare piatti in prima persona, “pasticciare con i vari ingredienti”. Lui è il ventisettenne Vittorio Manzoni, oggi, chef principale del ristorante macelleria Motta di Bellinzago Lombardo, e nelle prossime settimane ospite della rubrica sugli chef di cronachedigusto.it. Dopo le esperienze fatte con stage stagionali presso ristoranti di provincia, come lavapiatti prima e come aiuto cuoco dopo, passa sotto la maestria dello chef Luca Brasi (ex Lucanda di Osio, poi hotel Devero di Cavenago Brianza).
La sua filosofia? Mantenere semplicità e tradizione. Così come lui stesso ci dice: ”Parto dalla nuda materia prima per creare il piatto. Il tutto rispettando la tradizione – e continua -. Se la materia prima è buona, non c’è bisogno di grandi ricette artificiose”. Non una mescolanza di sapori ma un ensemble perfetto in cui l’ingrediente principale si sposa con poche aggiunte. Come in due ricette prese a caso dal menu del ristornate di Bellinzago: la piramide di tartare di bue piemontese dove all’apice troviamo quella “nuda”, al secondo strato la carne sempre cruda ma condita con olio e sale e, infine, alla base, quella decorata con un cappello di tuorlo d’uovo su un letto di salsa verde; o come i cubi di carne, tenerissimi, serviti in fila dove ogni cubetto ha un singolo ingrediente della salsa verde, destrutturato nelle sue parti, con un legame di continuità che fa da filo conduttore. “I ristoranti di paese sono ottimi come qualità della cucina, ma non sono un buono spunto per crescere e per innovarmi. Così ho deciso di fare le mie esperienze all’estero. Sono stato a Monaco, in un ristorante stellato, e qui sono rimasto otto mesi. Ma mi mancava la famiglia e l’Italia, e sono tornato. Dopo appena una settimana dal mio rientro, sono andato a lavorare vicino Bergamo da Luca Brasi, prima al ristorante 12-24 che offriva un po’ di tutto e il secondo anno in cucina con lui. Quando Brasi se ne è andato, Sergio mi dice che voleva aprire un ristorante-macelleria e mi invita a farne parte. Io ho detto, proviamo!”, racconta lo chef. E così, dopo qualche mese di pratica in macelleria, dove ha imparato dalla famiglia Motta, da Sergio, da papà Giuseppe e dalla moglie Carla, l’arte di fare i salumi, di spolpare la carne, di scegliere le varie parti dell’animale, è diventato lo chef numero uno di quello che oggi è considerato uno dei migliori ristoranti dell’hinterland milanese. “Non amo molto stravolgere i piatti e il gusto degli elementi – precisa – ma adoro, attraverso la semplicità, apportare solo qualche modifica. Se hai materia prima non c’è necessità di caricarla troppo. Più è nuda e cruda, meglio è!” Come non essere d’accordo con lui? D’altronde basta soltanto un tocco di innovazione per conferire al piatto l’unicità che proviene dalla stessa tradizione. E cosa c’è meglio della carne dei Motta come materia prima per i suoi piatti?
Rita Vecchio