L’Italia è bellissima per molte ragioni. Tra queste, il saper regalare angoli tanto poco conosciuti, al turismo di massa, quanto straordinari nella loro irripetibilità. E ancora il poter disporre di un patrimonio gastronomico smisurato. Per non dire della vastità di un vocabolario che frastorna e affascina: specie quando sorprende, usando spesso formule come l’antifrasi (il dire qualcosa con il suo contrario) o la dissimulazione (nascondere qualcosa dietro parole diverse, anche sensibilmente). Ecco, una magia davvero speciale si compie poi quando ciascuna di queste ricchezze s’intreccia alle altre, dando luogo non a una semplice somma, ma a una moltiplicazione delle suggestioni. Prendete per esempio la Garfagnana, in provincia di Lucca. Già di per sé uno scrigno di tesori paesaggistici (con le Apuane) e storico-artistici (basti pensare a borghi come Castelnuovo o a gioielli architettonici come l’eremo di Calomini, incastonato nel fianco roccioso di una montagna). Il tutto accompagnato da una straordinaria cucina tipica; verace, contadina, sostanziosa: comunicata, appunto, con quell’ironia tutta toscana che stupisce. Come quando ti senti proporre, a tavola, un piatto di polenta e ossi; roba che, detta così, lascia un po’ perplessi: bisogna ammetterlo! Salvo poi scoprire che quegli ossi sono tutt’altro che semplicemente tali…
POLENTA: MA QUALE? E OSSI: MA NON SOLO
Eh sì, c’è da guardarlo in faccia, quel piatto, per rendersi conto di come il suo nome nasconda appunto la sua vera natura. Una natura opulenta, mascherata dietro a una definizione ingannevolmente modesta. Perché le ossa (questo il punto) ci sono, effettivamente: di maiale, per la precisione; ma hanno ancora ben attaccata tutta la loro ciccia! In due parole, la ricetta è così congegnata. In un angolo della cucina si appronta la polenta; non quella di mais, ma quella di castagna: tradizionale dono dei boschi locali e qui detta neccio. La si lavora, per l’esattezza, mescolandone la farina (oggi DOP) con acqua, più giusto un pizzico di sale, e amalgamando il tutto per una quarantina di minuti. Nell’angolo opposto della stessa cucina ci si dedica invece agli ossi: ovvero quelli che sono, sì, effettivamente dei segmenti di scheletro, ricavati in macelleria dalla preparazione di tagli quali bistecca, petto e zampette; i quali però mantengono attorno a sé una discreta quantità di materiale carneo, cartilaginoso e grasso. I pezzi (di piccole dimensioni e da calcolare in un numero pari ad ameno tre per persona) vengono lessati in pentola per minimo due ore, con acqua (abbondante), cipolla, sedano e carota, nonché, talvolta, anche altro (rosmarino, cannella, pepe…). Quindi li si dispone in un vassoio e li si mantiene almeno tiepidi, prima di servirli in accompagnamento alla polenta, calda a sua volta. Vediamo a questo punto le caratteristiche organolettiche del piatto; e come affiancarlo a una buona birra.
UN BOCCONE DA NOBILTA’ CONTADINA
Abbiamo di fronte una prelibatezza: roba da re, senza esagerare. Nutriente, gustosa e di grande bilanciamento. La consistenza è sostanzialmente morbida, perché la polenta è tale e perché anche gli ossi hanno bollito a lungo, come si è visto; ma la densità sensoriale elevata: e quindi la birra in abbinamento può avere una corporeità non necessariamente massiccia, ma deve esprimere un temperamento organolettico vigoroso. La porzione grassa non è straripante, ma quella carboidratica, invece, decisamente sì; poi sta ovviamente al singolo commensale e a quanta polenta vuole aggiungere alle sue porzioni di maiale: ma in ogni caso, nel bicchiere, servono proporzionate funzioni di gestione della massa amidaceo-lipidica. Il profilo olfattivo della portata presenta timbriche diverse: di matrice in parte animale, ma soprattutto tostata (per i processi di cottura a carico di carni e farina); e, ancor più, legata alla varietalità del neccio, spesso interessata da venature affumicate, in virtù dell’essiccazione tradizionale a fuoco di legna. Ergo, alla bevuta, dovremo chiedere un indirizzo aromatico se possibile allineato, o almeno compatibile, rispetto a quello del piatto. Il quale, infine, presenta un gusto da un lato sapido (in virtù della forte concentrazione cui si sottopongono, in pentola, gli ossi) e dall’altro dolce, con quest’ultima connotazione che, conferita chiaramente dalle castagne, presenta la loro peculiare, lievissima e non molesta, venatura amaricante. Morale, una simile nervatura potrà essere presente anche nel calice d’accompagnamento; ma senza approfittarne e restando ancorati al principio per cui il sapido nel morso predilige il dolce nel sorso… Orbene, come concretizzare tali premesse? Ecco qua tre opzioni da sperimentare.
CON LA DOPPELBOCK
Inutile tentennare: spariamo subito cartucce importanti, ché in tavola c’è un cingolato. E allora partiamo con una Doppelbock: quella (senza nome d’arte e recante in etichetta la sola tipologia di riferimento) prodotta dal birrificio di Andechs, marchio monastico benedettino bavarese situato nell’omonima località, una ventina di chilometri a sud-ovest di Monaco. Colore ramato intenso, aspetto limpido e schiuma beige, questa splendida dark lady fa valere le proprie doti sia in alcolicità (siamo sui 7 gradi e 1) sia in carbonazione, saldandole in una spinta fluidificante che ben smaltisce le pastosità grasse e amidacee in dote al boccone. Del quale, peraltro, la birra riprende il gusto dolceamaro con un’analoga costruzione palatale, facendo coincidere l’una con l’altro in una piacevole sovrapposizione armonica. Infine, le interazioni nasali: con il tostato della sorsata (crosta di pane ben cotta, mandorla; un tocco di fungo secco), che si rivela a sua volta capace di richiamare quello della castagna, dandogli prosecuzione in una coesa continuità tra piatto e bicchiere.
CON LA DUBBEL
Risultati assai simili a quelli appena archiviati sono quelli offerti dal secondo abbinamento. Protagonista del quale è la Prior, una delle due Dubbel firmate a Watou (Fiandre Occidentali) dal marchio abbaziale belga Sint Bernardus. Colore bruno intenso, aspetto leggermente velato e bella corona di schiuma nocciola, la birra massaggia e diluisce ancor meglio amidi e grassi del boccone, grazie a una carbonazione e a una taglia etilica (8 gradi) entrambe in aumento, rispetto a prima. Per il resto, torna, tra piatto e bicchiere, il rispecchiamento sia nelle rispettive costruzioni gustative (ambedue d’impronta dolceamara) sia nei rispettivi assetti olfattivi (entrambi dominati dalle tostature, benché, qui, con maggiori articolazioni, sul fronte della bevuta, che propone anche spunti da fichi disidratati, liquirizia e noce moscata).
CON LA CHESTNUT BEER
Si scende (sorpresa) con la gradazione: siamo a quota 6.5%; ma si mantiene saldamente la posizione con la densità sensoriale: spingendo anzi con particolare energia sul pedale di due connotazioni specifiche. Perché la terza birra in abbinamento, la Marron targata La Petrognola (scuderia essa stessa garfagnina DOC, con impianto a Piazza al Serchio, ovviamente in provincia di Lucca), è una Chestnut Beer prodotta aggiungendo, al mostro di cereali, una quota di castagne, essiccate a fuoco di legna nei tradizionali casottini, i metati, con inevitabile acquisizione di fini note affumicate. Così, sotto lo slancio di un combinato bollicina-alcolicità comunque incisivo, la massa amidaceo lipidica del boccone si scioglie arrendevolmente; e al palato torna l’armonica sovrapposizione attenuativa tra il gusto dolceamaro proprio sia del piatto sia del bicchiere; mentre quest’ultimo fa poi valere un orientamento olfattivo che sa riflettere ancor più precisamente quello della polenta, esaltandolo e portandolo in trionfo…
KLOSTERBRAUEREI ANDECHS
Bergstrasse, 2 – Andechs (Baviera, Germania)
T. 0049 (0)8152 3760
info@andechs.de
www.@andechs.de
SINT BERNARDUS BROUWERIJ
Trappistenweg, 23 – Watou (Fiandre Occidentali, Belgio)
T. 0032 (0)57-388021
shop@sintbernardus.be
www.sintbernardus.be
BIRRIFICIO LA PETROGNOLA
Località Tato Colognola – Piazza al Serchio (Lucca)
T. 0583 60355; 389 4649880
info@lapetrognola.com
www.lapetrognola.com