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Scenari

Vini dealcolati, Daniele Cernilli: “Pro e contro. Vi dico la mia”

03 Marzo 2025
Daniele Cernilli - ph Vincenzo Ganci, Migi Press Daniele Cernilli - ph Vincenzo Ganci, Migi Press

Dallo scorso mese di gennaio anche in Italia è possibile produrre vini parzialmente o totalmente dealcolizzati (come è corretto dire, rispetto all’aggettivo che sta entrando nell’uso comune “dealcolati”). Per alcuni è una buona notizia, per altri una sciagura. Perciò proviamo a vedere come stanno le cose. Intanto, per la normativa europea 2021/2117, i vini “dealcolizzati” possono esserlo totalmente, con un tenore alcolico fino a 0,5°, o parzialmente, da 0,5° a 9° totali. Il processo avviene, partendo da un vino convenzionale, e sottoponendolo a distillazione sottovuoto o a osmosi inversa, quindi con procedimenti decisamente invasivi.

I PRO

I vini dealcolizzati si producono in molti Paesi del mondo e rispondono a una richiesta di mercato da parte di chi vuole evitare di ingerire alcol. Per motivi di salute, per ragioni religiose, per questioni dietetiche. Le recenti prese di posizione dell’Oms e dell’Unione Europea tese a limitare e a scoraggiare il consumo di bevande alcoliche vanno proprio in quella direzione e quei vini sembrano essere una risposta precisa. In più, hanno ottenuto lo status di “vini”, possono essere chiamati così e portano in etichetta quella dizione, quella di “vino dealcolizzato” appunto.

La distinzione con i vini normali passa anche attraverso il fatto che per ora i vini a denominazione Docg, Doc e Igt (o Dop e Igp, come preferite) non possono essere dealcolizzati. Quindi se c’è un disciplinare che tutela l’origine non si possono produrre. I vini dealcolizzati possono rappresentare una valida alternativa alle bevande gassate, che non sono proprio un toccasana per la salute.

I contro

Di certo per dealcolizzare un vino non è necessario produrre uva di chissà quale qualità, si tratterà di produzioni industriali basate sulla quantità, con vigneti altamente produttivi e uve non necessariamente molto zuccherine. I macchinari che si dovranno acquistare costano molto e solo grandi aziende potranno permetterseli. Per i piccoli e medi produttori la dealcolizzazione sembra un processo poco praticabile. L’eventualità che grandi multinazionali del beverage si inseriscano in questo settore non sono solo teoriche e i rischi che corre la vitienologia tradizionale e artigianale non sono peregrini.

Esistono già bevande non alcoliche, come ottimi succhi di mele, che ricordano vagamente il vino. Non si capisce perché bisogna dealcolizzare quello ottenuto dalla fermentazione dell’uva. Se passeranno le proposte di etichettatura dei vini sostenute da alcune parti in UE, con la dizione “nuoce gravemente alla salute”, ci sarà il rischio di vedere annullati i sostegni all’esportazione e alla promozione del vino, come gli ocm e i psr. Se il vino è nocivo non può essere finanziato da enti pubblici, insomma. È ovvio che questo non riguarderà i vini dealcolizzati, invece.

Dealcolizzare significa anche snaturare i vini di origine. L’alcol veicola i profumi ed è una componente importantissima dell’equilibrio organolettico dei vini. La tradizione, la cultura, la letteratura legata al vino non ha mai previsto l’assenza di alcol in esso. L’aspetto dionisiaco è parte integrante di questi temi.

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