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Birra della settimana

Storie di birra e formaggio: dal lodigiano il Pannerone

02 Marzo 2025
Formaggio Pannerone Formaggio Pannerone

E naufragar m’è dolce in questo… amaro. Non sembri irriverente la citazione in variante del testo leopardiano. L’intento, nel caso, è semmai opposto: rendergli omaggio, pur scherzosamente. Associandone la suggestione alla peculiarità di un prodotto alimentare che, a sua volta, in virtù del suo pregio straordinario, merita il massimo rispetto e la massima attenzione: da cui l’azzardo dell’accostamento al concetto di poesia. Parliamo infatti di uno tra i formaggi più singolari e tipici dell’intera tradizione italiana: il pannerone; una specialità le cui caratteristiche gustative, davvero uniche, aprono le porte, nell’abbinamento con la birra, a soluzioni estremamente originali e divertenti.

GENERALITÀ E ORIGINE
Partiamo dal nome: già di per sé curioso e, perciò, facilmente memorizzabile: pannerone, appunto, o panerone. Un battesimo che rivela subito alcuni aspetti distintivi nel processo di lavorazione e nelle qualità gustative. Deriva infatti dal termine dialettale lombardo panéra, ovvero panna, con riferimento alla frazione grassa del latte: il quale, in questo caso, viene lavorato senza scrematura (o, come si dice, intero), rinunciando cioè a diminuirne la componente lipidica. L’areale d’origine corrisponde al circondario comprendente le province di Cremona, Pavia e Lodi. La prima è quella che, a questo formaggio, sembrerebbe aver dato i natali (in particolare con la località di Pandino). L’ultima, di certo, è quella che, a questo prodotto tipico (iscritto nei registri regionali dei PAT, Prodotti Agroalimentari Tradizionali) ha legato la propria immagine, in quanto divenuta nel tempo la sua piazza di più intensa commercializzazione: tanto che non di rado lo si trova designato come Pannerone Lodigiano. La sua nascita pare risalire al medioevo; e a una pratica di preparazione codificata da monaci benedettini, per poi essere, da questi, condivisa con i contadini delle vicine campagne. Discretamente diffuso, ancora qualche decennio fa, in un po’ tutta la bassa Lombardia, il suo consumo, a causa del gusto decisamente particolare, è invece andato crollando dopo la seconda guerra mondiale, a tal punto che oggi si trova seriamente a rischio d’estinzione.

LA CASEIFICAZIONE
D’accordo, il latte è intero; ed è, aggiungiamo, bovino. Ma poi? Tutto qui? Niente affatto: l’iter di lavorazione è costellato di numerose peculiarità. La coagulazione, tanto per cominciare, si esegue impiegando caglio animale (di vitello) in cospicue quantità: tali, in virtù della forte concentrazione di enzimi, da conferire un gusto decisamente orientato all’amaro. La cagliata, quindi, viene frazionata manualmente in due riprese: la prima ancora in caldaia, con spannarole (grossi piatti o mestoli metallici); la seconda, dopo una fase intermedia di riposo, entro sacchetti di tela detti patte, per poi passare alla deposizione della massa caseosa in fascere cilindriche al fianco piuttosto alto. Si prosegue dunque con la stufatura (in camere calde, a 30/35 °C circa per 5/7 giorni), onde ottenere una voluta cremificazione della pasta; e ancora con l’avvolgimento delle forme in carta speciale, con il sostegno esterno (data appunto la morbidezza della pasta) di listelli in legno, legati tra loro a formare quella che potremmo descrivere come la parete di un canestrino. A quel punto, effettuata una breve sosta (24 ore) in cella frigo, parte – senza effettuare la salagione, ulteriore unicità del processo – il percorso di maturazione, per un minimo di 10/15 e fino a un massimo di 60 giorni: il pannerone si consuma insomma fresco o, al limite, brevemente stagionato.

L’IDENTIKIT SENSORIALE
Al taglio, la pasta, di colore bianco, evidenzia una fitta occhiatura, dovuta all’attività gasogena di alcuni microrganismi, liberi di operare il proprio metabolismo, proprio in virtù della rinuncia alla salagione. In masticazione, la consistenza è morbida (se ne avverte la frazione grassa, attorno al 31%) e dà luogo a un boccone piacevole nella sua tendenza fondente. Al naso le dominanti sono di timbro latteo (fresco o cotto, in funzione della stagionatura), ma anche stallatico e ammoniacale (esse stesse tematiche da ricondurre al metabolismo della ricca microflora qui in azione). Il gusto, infine, unisce un sottofondo di dolcezza a una vena amaricante destinata a farsi via via più incisiva con i tempi i maturazione; il tutto, ovviamente, in una cornice in cui la sapidità non ha diritto di cittadinanza. Come abbinare, con la birra, un profilo organolettico del genere? Di seguito ecco tre nostre proposte…

CON LA SAISON
La tendenza amaricante e l’assenza di sale che caratterizzano il formaggio, se da un lato raccomandano di tenersi alla larga da birre intonate ad acidità esplicite, all’altro rimuovono quel divieto d’accesso che assai spesso blocca la strada verso tipologie segnate invece da un più o meno elevato punto d’amaro. Accanto a tutto ciò, occorre tener conto della materia grassa in dote al Pannerone: e della conseguente necessità di ricorrere a una bevuta in grado di gestire quella sostanza lipidica, mettendo in campo (visto che l’acido è un terreno interdetto) quantomeno adeguati valori di carbonazione e alcolicità. Così, la nostra prima scelta è una Saison; anzi, la Saison, nel senso che parliamo della matriarca tra le versioni moderne di questo stile: ovvero quella confezionata (senza nomi d’arte) dalla scuderia Dupont, a Tourpes, frazione del comune di Leuze, nella provincia belga dello Hainaut. In ricetta troviamo malto Pils; luppoli East Kent Golding e Styrian Golding; una fermentazione affidata al mitologico lievito della casa; e una rifermentazione con zucchero in pre-confezionamento. A valle di tutto ciò, la mescita consegna una massa liquida dal colore dorato, lievemente velata e coronata da una bella schiuma bianca. Quanto all’abbinamento, grazie ai suoi 6.5 gradi e alla sua ficcante bollicina, la birra assolve con disinvoltura i requisiti poc’anzi indicati, regalando ordine al palato. Sul piano gustativo, l’amaro della sorsata si adagia su quello del boccone, in armonica sovrapposizione attenuativa. Mentre l’olfatto della bevuta (pane a pasta madre, banana, pera, pepe, chiodo i garofano, fiori di sambuco), s’intreccia con il latteo del Pannerone (pur marginalizzandolo un po’), a evocare il frugale ricordo di merende contadine.

CON LA TRIPEL
Esiti simili a quelli appena annotati (sebbene con rapporti di forza ancor più spostati a favore del bicchiere) arrivano con il secondo duetto. Che chiama in scena una Tripel: il nome, didascalico è Tripla; e il produttore è il marchio Aimara, a Subiaco (in provincia di Roma). Questo il dettato della ricetta: malto Pils, Weizen, Biscuit e Aromatic; in caldaia luppolo Tettnanger solo per l’amaro; in aromatizzazione arance fresche (sia buccia sia polpa) e zucchero candito chiaro; in tino di fermentazione, il vigore di un lievito trappist. Risultato? Colore ambrato di primo ingresso, lieve velatura e schiuma avorio; una condotta palatale che riprende il modus operandi della Saison Dupont e lo intensifica (qui l’alcol sale a quota 8.7); una piattaforma olfattiva fatta di miele, pasta frolla, agrume e ananas candito che, fondendosi con il latteo fresco del Pannerone, genera piacevoli suggestioni di frappé.

CON LA DOUBLE IPA
Regole d’ingaggio diverse, invece, quelle implicate dalla terza birra in pista. Perché si tratta di una Double IPA: la Space Kelly targata Zero.5, con sede a Monterotondo (sempre in provincia di Roma). Questi i suoi fondamentali: in miscela secca, malti Pils e Chit (proteico), ma giusto un tocco, più fiocchi d’avena; per la luppolatura, gettate di Citra (anche in cryo), Ekuanot e Idaho 7; come aggiunta speciale, abbiamo destrosio a fine bollitura del mosto; in fermentazione, poi, ci si affida a una miscela tra l’attenuante Green Mountain e l’esterificante LN3. In tavola, il colore è dorato pieno, la velatura omogenea, la schiuma bianca; il comportamento palatale ricalca, in linea generale, quello della Tripla (i gradi sono 8.2), aggiungendo una quota di morbidezza che perfeziona i risultati ella sovrapposizione attenuativa tra l’amaro del bicchiere e quello del boccone. Infine, le interazioni olfattive di nuovo propongono la saldatura tra il latteo del formaggio e gli aromi della sorsata (pompelmo, papaya, albicocca, pesca), producendo gradevoli impressioni da frullato alla frutta.

BRASSERIE DUPONT
Rue Basse, 5 – Tourpes-Leuze, Hainaut, Belgio
T. 0032 (0) 69 671066
www.brasserie-dupont.com

BIRRIFICIO ZERO.5
Via Thomas Edison, 8 – Monterotondo (Roma)
t. 333 9221103
mr.whoholding@gmail.com
Facebook: Zero.5 Brewing
Instagram: Zero.5_brewing

BIRRIFICIO AIMARA
Via San Francesco, 3 –  Subiaco (Roma)
T. 347 5668220
www.birrificioaimara.it
informazioni@aimara.it
Facebook: Aimara