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Il caso

Limoni sudamericani? No, grazie

09 Febbraio 2025
Limoni Limoni

Il paradosso siciliano: la regione è prima per produzione in Italia ma viene venduto nel nord e all’estero perché sono disposti a spendere di più per acquistarli. E ora da Argentina e Cile potrebbero arrivare agrumi trattati con sostanze nocive a prezzi molto concorrenziali. I rischi per i consumatori

In Argentina si lamentano del fatto che l’Unione Europea non ha ancora approvato il Mercosur, l’accordo commerciale tra la citata Ue e quattro Paesi del Sudamerica: Brasile, Uruguay, Paraguay e, appunto, Argentina. Si lamentano perché lo scorso anno i loro volumi di esportazione di agrumi verso l’Europa si sono un po’ ridotti rispetto al Sudafrica, all’Egitto, alla Turchia e ad altri Paesi. In realtà, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha già posto la prima firma sul Mercosur, ma l’accordo commerciale deve ancora essere ratificato dai 27 Paesi dell’Unione europea. Per l’agricoltura europea l’approvazione del Mercosur sarebbe una mezza rovina, perché l’Europa verrebbe invasa da ortaggi e frutta del Sudamerica a prezzi concorrenziali che danneggerebbero le imprese agricole delle nostre parti. Non a caso in alcuni Paesi europei – Francia e Italia in testa ma non solo – gli agricoltori sono già in rivolta.

Oggi proviamo a focalizzare la nostra attenzione sui limoni in Sicilia dove, da anni, va in scena un paradosso. La nostra Isola produce quasi il 90% dei limoni italiani e alcune zone consentono di produrre limoni a marchio Igp come a Siracusa e sull’Etna. Eppure circolano limoni che non sono prodotti in Sicilia. Qualche anno fa ha fatto scalpore il sequestro di una partita di limoni di pessima qualità a Siracusa arrivati dall’estero. La provincia Aretusea, infatti, è una delle zone dove si coltiva una delle varietà di limone più note al mondo: la Femminello di Siracusa, varietà che è garantita dal marchio IGP. Pensate un po’: il limone Femminello di Siracusa rappresenta il 30% circa della produzione nazionale e si esporta nel Nord Italia, in Germania, nel Regno Unito, in Francia, in Austria, in Danimarca e in Norvegia. A quanto pare, nell’anno del sequestro dei limoni di pessima qualità i produttori della provincia di Siracusa avevano esportato buona parte della produzione di limoni e ai cittadini di Siracusa e provincia non restavano che i limoni importati! Per la cronaca, oltre che nella Città Aretusea e dintorni il limone Femminello di Siracusa IGP si coltiva in altre cittadine di questa provincia, da Augusta ad Avola, da Melilli a Noto, da Floridia a Rosolini, da Solarino a Sortino, fino a Priolo Gargallo. Considerazione logica: se i cittadini del Nord Italia e di altri Paesi europei sono disposti a pagare un prezzo remunerativo rispetto al mercato siciliano perché i produttori di limoni di qualità della nostra Isola non dovrebbero esportare i propri prodotti?

Ora, se a Siracusa e provincia può succedere che i cittadini non trovino il ‘loro’ limone, figuriamoci cosa succede nel resto della Sicilia. Bene o male, nella parte Orientale della nostra Isola i limoni di qualità si trovano. Messina e dintorni, ad esempio, non dovrebbero avere problemi con i limoni. La situazione comincia a diventare problematica nella parte occidentale della nostra Isola. Un tempo la costa che corre da Palermo a Bagheria era molto ricca di limoni. Oggi non è più così. Non che non ci siano zone con limoni di qualità, ma tali zone sono sempre più rare. A Marsala e in altre aree del Trapanese, per citare alcuni esempi, si coltivano ottimi limoni. Ma non tutti i limoni che finiscono nelle tavole dei cittadini siciliani sono siciliani. Stiamo arrivando al cuore del problema. Partendo da un dato: il Disciplinare di produzione del Limone di Siracusa IGP è rigidissimo: vige il divieto assoluto di applicare cere e fungicidi prima del confezionamento: ciò significa che il Limone Femminello siracusano certificato come Limone di Siracusa IGP è sempre commestibile in ogni sua parte.

Ebbene, oggi il 30 per cento circa dei limoni venduti in Italia arriva dall’estero: dalla Spagna, dalla Turchia, dalla Tunisia, dall’Argentina, dal Sudafrica. Può succedere di entrare in un centro commerciale e di leggere nell’etichetta che accompagna i limoni: “Buccia non commestibile”. In realtà, la scritta dovrebbe essere più diretta: “Questi limoni sono stati trattati con pesticidi e la buccia non è commestibile”. Ma se scrivessero queste parole nessuno acquisterebbe quei limoni!

 

Il concetto della reciprocità

Il discorso è molto serio. Sapete qual è una delle motivazioni che ha ritardato fino ad oggi l’approvazione del citato Mercosur? Semplice: il fatto che i quattro Paesi sudamericani rifiutano la reciprocità: in pratica, non dovrebbero utilizzare pesticidi e, in generale, prodotti chimici che nell’Unione europea sono stati banditi, in alcuni casi da decenni, perché dannosi per la salute umana. I Paesi sudamericani obiettano che se non dovessero utilizzare i prodotti chimici che utilizzano per eliminare insetti e altri organismi dannosi la loro produzione agricola crollerebbe e non avrebbero più convenienza a esportare, se non altro perché dovrebbero praticare prezzi più elevati e i loro prodotti agricoli non sarebbero più competitivi. Fine dei problemi? No.

La globalizzazione dell’economia, in agricoltura, è rischiosa, perché con frutta e ortaggi si esportano da un Continente all’altro insetti, virus e batteri dannosi per le colture agricole. In questo momento in Europa si teme che possa arrivare l’HLB (huanglongbing), una malattia batterica distruttiva che colpisce tutte le specie e le cultivar di agrumi, a prescindere dal portinnesto. Oggi è presente in Asia, in Africa e in America dove avrebbe già ucciso 100 milioni di alberi di agrumi. Si teme che possa essere importata in Europa dove potrebbe provocare un’ecatombe di agrumi, se è vero che la globalizzazione impone l’import-export in barba al Km zero. Ma di questo scriveremo in un prossimo articolo.

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