Porter & Stout. Una tra le nobili famiglie della grande discendenza birraria sviluppatasi sulle Isole Britanniche. Una stirpe in abito scuro: massa liquida color notte e fitta schiuma nocciola. Una dinastia austera e affascinante, il cui albero genealogico è ricco di diramazioni, ciascuna corrispondente a un diverso sottostile: tanto da includere varianti numerose e diversificate. In un assortimento di personalità organolettiche, insomma, molto più articolato di quanto a prima vista possa sembrare, fermando lo sguardo al solo dato saliente del loro comune denominatore visivo: quella tonalità ebano, spesso impenetrabile, che sembra dover appiattire qualsiasi temperamento sensoriale sulle note torrefatte del caffè, dell’orzo in tazza, del cacao e della liquirizia. Le quali, chiaramente, costituiscono un pacchetto di tematiche ricorrenti, in questa progenie; ma che, di caso in caso, si arricchiscono con supplementi organolettici assai sfaccettati. Ecco, lungo le strade di questo interessante territorio brassicolo, proponiamo un viaggio di scoperta in due puntate, partendo oggi con l’esplorare i suoi confini più esterni; quelli stabiliti appunto dalle due tipologie fondamentali: la Porter e la Stout.
UN MINIMO DI STORIA
Le Porter e le Stout entrano sulla scena, in Gran Bretagna, entro il primo quarto del XVIII secolo.; ed è, la loro, una genesi decisamente complessa. In questa sede – concentrandoci sugli aspetti essenziali – ci limiteremo a dire che la comparsa di queste due tipologie rappresenta l’effetto di una piccola rivoluzione dalla quale il comparto brassicolo nazionale era stato investito nei decenni precedenti. In sintesi: fino alla metà del Seicento i cereali da ammostamento venivano cotti a fiamma diretta, assumendo tonalità brune intense e dando vita a birre dello stesso temperamento cromatico. Nel 1642 si brevetta il forno a getto d’aria; l’essiccazione dei semi passa a un regime di effettivo controllo delle temperature d’esercizio; se ne ricavano malti decisamente più chiari; dai quali nasce una birra, a sua volta, molto meno scura rispetto agli standard correnti; tanto da essere battezzata come Pala Ale: pallida, volendo tradurre alla lettera, in realtà ambrata. La Pale Ale, novità assoluta e novità costosa (discendendo da una tecnologia essa stessa rara, in quel momento), diventa status symbol e si accaparra il mercato del lusso. Come reagiscono i produttori tradizionali, legati (magari loro malgrado) alle classiche pinte color corteccia? In modi vari e diversi; ad esempio, puntando ad accentuare ulteriormente la tinteggiatura e l’amaro delle loro creature; nonché a cercare di abbassare i costi di filiera. Ecco, proprio il convergere di queste direttrici di ricerca porta, nel terzo decennio del Settecento (dicono gli storici di settore), alla definizione di una birra piacevolmente torrefatta e molto opportunamente economica. A tal punto da conquistare a sé il consumatore meno abbiente; ad esempio, a Londra, lo scaricatore del grande porto fluviale: una figura di proletario chiamata Porter…
PORTER E STOUT: GEMELLE ETEROZIGOTI
E le Stout? Presto detto. L’appellativo è una variante gergale per strong. E già prima del Settecento veniva usato per designare birre di maggior stazza alcolica. Una consuetudine quindi transitata entro la cerchia dei produttori consacratisi alle Porter. I quali, dovendo contrassegnare una loro referenza più alcolica, lo fecero assumendo la locuzione di Stout Porter. Ma correva, tra le due categorie, un confine precisamente definito? Pare di no. Il produttore X, ad esempio, poteva avere in catalogo una Porter più alcolica rispetto alla Stout Porter di un collega. Insomma, le due denominazioni sembra avessero un senso, sostanzialmente, nel distinguere tra loro due etichette di uno stesso marchio. E quindi, da un certo punto di vista, Porter e Stout Porter (quest’ultima, poi, semplicemente Stout) possono essere considerate come gemelle eterozigoti: derivavano da uno stessa ricetta e da uno stesso ciclo di ammostamento, da cui però si ricavavano mosti più o meno densi; e, di conseguenza, pinte più o meno alcoliche. Oggi, invece, si tende ad assegnare, a ciascun genere brassicolo, una fisionomia tutto sommato univocamente convenuta e riconosciuta; ed ecco allora che le nostre due tipologie vengono inquadrate in una griglia di parametri: in una sorta di disciplinari, insomma. Come quelli stilati, ad esempio, dal BJCP-Beer Judge Certification Program, o dalla Brewers Association, nelle rispettive Styles Guidelines. Vediamo dunque, alla luce di questo approccio, una prima carrellata di stili appartenenti alla grande progenie delle scure di ascendenza britannica.
LA STOUT E ALCUNE DELLE SUE FIGLIE
Divenuta nel XIX secolo più popolare rispetto alla gemella Porter, la Stout (a quel punto indicata così, semplicemente, e non più con la duplice locuzione di Stout Porter), inizia a dar luogo a una serie di varianti: ognuna considerabile come un vero e proprio sottostile. Un meccanismo di ramificazione che oggi si riflette in un assetto comprendente, ad esempio, le seguenti tipologie. Irish Stout: fermentazione alta, gradazione alcolica media dal 3.8 al 5%, aroma torrefatto con note terrose (da luppoli britannici), colore scuro, corpo medio-robusto con un che di cremoso, amaro elevato e una possibile lieve astringenza finale. Irish Extra Stout: fermentazione alta, gradazione alcolica media dal 5 al 6.5%, aroma torrefatto con note terrose (da luppoli britannici), corpo da medio-robusto a robusto con un che di cremoso, chiusura dolceamara con una possibile lieve astringenza finale. Foreign Extra Stout: fermentazione alta, gradazione alcolica media dal 6.3 all’8%, colore scuro, aroma torrefatto con note terrose (da luppoli britannici), corpo da medio-robusto a robusto con una tessitura levigata e spesso cremosa, amaro da medio a elevato, chiusura con un possibile lieve calore etilico. Imperial Stout: fermentazione alta, gradazione alcolica media dall’8 al 12%, colore scuro, aroma torrefatto con possibili risvolti vinoso-ossidativi (da Porto, ad esempio), corpo da robusto a molto robusto con una tessitura vellutata, amaro da medio a elevato, chiusura con un delicato e morbido calore etilico.
LA PORTER E ALCUNE DELLE SUE FIGLIE
Identica sorte, cioè quella di una rifrazione in diversi sottostili, è toccata alla stessa Porter: vediamone alcuni dei più significativi, tra quelli attualmente codificati. English Porter: fermentazione alta, gradazione alcolica media dal 4 al 5.4%, colore da bruno a bruno intenso, aroma tostato-torrefatto con note terrose (da luppoli britannici), corpo da medio-leggero a medio con un che di lieve cremosità, amaro da leggero a medio-leggero. Brown Porter: fermentazione alta, gradazione alcolica media dal 4.4 al 6%, colore bruno (non scuro), aroma tostato-caramellato con note terrose (da luppoli britannici), corpo da leggero a medio, amaro medio. Robust Porter: fermentazione alta, gradazione alcolica media dal 5.1 al 6.6%, colore da bruno molto intenso a scuro, aroma torrefatto con note terrose (da luppoli britannici), corpo da medio a robusto, amaro da medio a elevato. Baltic Porter: fermentazione bassa, gradazione alcolica media dal 6.5 al 9.5%, colore da ramato a bruno intenso, aroma tostato-torrefatto con possibili risvolti vinoso-ossidativi (da Porto, ad esempio), corpo robusto con una tessitura vellutata, amaro da medio-leggero a medio, chiusura con un delicato calore etilico.