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Il caso

La questione pomodoro cinese: “L’Italia non ha nulla da temere, ma serve l’estensione della normativa italiana anche in Europa”

09 Dicembre 2024
Da sinistra Giovanni De Angelis, direttore generale Anicav, Associazione Nazionale Industriali Conserve Alimentari Vegetali Da sinistra Giovanni De Angelis, direttore generale Anicav, Associazione Nazionale Industriali Conserve Alimentari Vegetali

Il direttore generale Anicav commenta le parole del patron di Mutti al Financial Times

La provocazione è arrivata dal signor Mutti qualche settimana fa sulle pagine del Financial Times: “Dovremmo fermare l’importazione di concentrato di pomodoro dalla Cina o aggiungere una tassa del 60% in modo che il suo costo non sia così diverso da quello dei prodotti italiani”. Francesco Mutti, amministratore delegato dell’azienda produttrice di passata, polpa e pomodori in scatola ha lanciato così un grido d’allarme all’Unione Europea. Ma perché? Proviamo a fare un passo indietro. 

L’Italia è il terzo produttore mondiale di pomodoro dopo la Cina e gli Stati Uniti e rappresenta l 11,6% della produzione mondiale e il 47,7% di quella europea, oltre a essere il primo Paese esportatore di prodotti a base di pomodoro. Nel 2024, in Italia – a fronte di 75.863 ettari messi a coltura – sono state trasformate 5,3 milioni di tonnellate di pomodoro, di cui il 45% nel bacino Nord e il 55 % nel Centro-Sud.

L’industria italiana del pomodoro, specializzata nella produzione di derivati destinati al consumatore finale, è uno dei punti di forza dell’agroalimentare italiano. Oltre il 50% delle produzioni sono destinate infatti all’estero sia verso l’Europa (Germania, Francia, Regno Unito) che verso gli altri Paesi (Asia, USA, Giappone, Oceania), con una quota export di oltre 2 miliardi di euro. La passata è il prodotto più venduto in Italia nell’area retail (rappresenta, infatti più del 60% del mercato interno dei derivati) seguita dalla polpa (22% ) dai pelati (12%), dai pomodorini (4%) e dal concentrato (1%).

Il discorso di Mutti, in questo senso, mira alla richiesta di “salvaguardia” degli agricoltori italiani dalla concorrenza ritenuta sleale da parte della regione dello Xinjiang. “La preoccupazione – ci dice Giovanni De Angelis, direttore generale Anicav, Associazione Nazionale Industriali Conserve Alimentari Vegetali – è condivisa dall’intera filiera ed è legata alle importazioni, in Europa e quindi in Italia, di pomodoro “semilavorato” proveniente da Paesi extra UE che non applicano i nostri stessi standard etico-sociali ed ambientali facendo, in questo modo, concorrenza sleale alle nostre imprese. Come Paese abbiamo l’obbligo e il dovere di esigere che in Europa sia applicato il principio di reciprocità: tutti devono avere e rispettare le stesse regole.”

Il problema nasce quindi riguardo alcune condizioni di derivati del pomodoro, dedicati alla seconda trasformazione che comportano delle difficoltà competitive. La trasformazione cinese, infatti, anche per spinta del governo è passata da sei milioni di tonnellate a 11 milioni di tonnellate. “Il discorso naturalmente non riguarda la produzione di passate, pelati, pomodorini e polpe vendute in ltalia. Pelati, polpe, passate e pomodorini venduti sugli scaffali dei nostri supermercati sono ottenuti da prodotto 100% italiano che deve essere lavorato massimo nelle 24/36 ore dalla raccolta. Per quanto riguarda la passata di pomodoro, il Decreto del Ministero delle attività produttive del  23 settembre 2005 prevede che la passata venduta in Italia deve essere ottenuta direttamente da pomodoro fresco e non da rilavorazione di concentrato. Una norma applicabile solo per i prodotti commercializzati in Italia. Per difendere le nostre produzioni riteniamo sia necessario estendere a livello europeo la norma italiana, con l’obbligo di riportare in etichetta lo Stato e, qualora il ciclo produttivo lo consenta, anche la zona dove il pomodoro è stato coltivato.”

Meno 30% delle produzioni a livello Italia è destinato al comparto industriale, prodotto destinato a sughi pronti, pizze surgelate, zuppe. Poco più del 70% è invece destinato alle passate, al pomodoro cubettato al pelato e al pomodorino nelle varie forme. Serve ricordare come il concentrato non vada a finire nei pelati e, soprattutto, come sul mercato sia impossibile trovare pomodoro pelato surgelato. 

“Come settore che da sempre è presente all’estero – conclude De Angelis – siamo “culturalmente” favorevoli a mercati aperti e liberi da dazi e quindi poco inclini alla creazione di barriere tariffarie: non le vogliamo subire né ne vogliamo alzare. Tuttavia in alcuni casi limite, laddove si registri una palese violazione dei diritti umani e una scarsa attenzione all’ambiente, è necessario porre in essere una serie di iniziative tese ad attuare, in sede europea, mirate politiche protezionistiche prevedendo il divieto di importazione di pomodoro da Paesi in cui esistono palesi violazioni dei diritti umani. Salutiamo, quindi, positivamente il Regolamento “Products made with forced labour” adottato lo scorso 19 novembre dal Consiglio dell’Unione Europea che vieta l’immissione sul mercato europeo di prodotti realizzati utilizzando lavoro forzato. Si tratta di un importante passo avanti che va nella direzione da noi tracciata, a tutela delle nostre produzioni e dei consumatori.”