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Il caso

Molte più Chiocciole Slow Food a Roma che a Milano. Cosa significa tutto questo?

07 Dicembre 2024
L’immagine di un’osteria L’immagine di un’osteria

Nella Guida alle Osteria d’Italia di Slow Food Milano viene segnalata con soli due locali “chiocciolati”, mentre Roma ne conta 11. Ne abbiamo parlato con la curatrice della guida, Francesca Mastrovito e con due ristoratori: Cesare Battisti di Ratanà a Milano e Cristina Bowerman di Glass Hostaria a Roma

Il dato salta all’occhio leggendo la Guida alle Osterie d’Italia pubblicata da Slow Food. Roma vince il “derby” delle trattorie su Milano. Se il capoluogo lombardo tra le 24 Chiocciole assegnate nella regione vede solo due locali segnalati (Trippa e Trattoria del Nuovo Macello), delle 24 Chiocciole del Lazio 11 sono nella Capitale. Si tratta del ristorante Da Armando al Pantheon, Da Cesare, Da Cesare al Pellegrino, Grappolo d’Oro, L’Asporto di 180 Grammi, Lievito, Menabò Vino e Cucina, Pennestri, Pro Loco D.O.L., SantoPalato e Trecca Cucina di Mercato.

È vero, Roma è nettamente più grande rispetto alla città di Milano e conta una popolazione molto più ampia. Ma è anche vero che il flusso di persone che quotidianamente gravita intorno alla città meneghina pareggia il confronto su Roma. E dunque le domande sorgono spontanee: c’è davvero questo disequilibrio tra le due città riguardo le trattorie? C’è ancora spazio per l’innovazione e per il fine dining a Roma?

“Il concetto – ci racconta Francesca Mastrovito, curatrice insieme a Eugenio Signoroni della Guida alle Osterie d’Italia – si basa sulla diversificazione dell’offerta delle due città. La Lombardia ha una diversificazione tale che conta situazioni autoctone soprattutto nella zona delle valli, con realtà molto più interessanti nei territori da cui si attinge direttamente la materia prima. Dall’altro lato Roma è molto incentrata sulla cucina di tradizione che deriva da una cucina di mercato e questo aspetto si rispecchia sul tipo di locali che vengono aperti che ricalca l’idea di osteria storica”. Si tratta, secondo Mastrovito, di modi diversi di raccontare il territorio. Da un lato la Capitale che vede nella sua cucina un modo di vivere, dall’altro Milano che deve procacciare fuori dalla città stessa i prodotti da utilizzare nei piatti della tradizione. 

“Milano – ci dice Cesare Battisti, proprietario e chef del ristorante Ratanà – è una città molto discreta. Dico questo perché è difficile che faccia parlare di sé per il cibo, nonostante ci siano prodotti famosi in tutto il mondo (come il panettone) che provengono proprio da questa città”. In un luogo dove impazzano migliaia di proposte dal fusion ai bistrot, Ratanà rappresenta un luogo che incarna la tradizione milanese. “A Milano più che la tradizione vince il concetto di identità. Oggi i giovani aprono ristoranti in città puntando subito ad avere il riconoscimento della Stella e manca in questo modo l’identità del locale, che viene a crearsi dopo l’apertura dell’attività. Una volta era esattamente il contrario. Questa società fa sì che il fine dining sia in crisi”. 

Ma nonostante quello che si possa pensare anche a Roma c’è spazio per l’innovazione. Si tratta, secondo diversi esperti, solo di un modo di comunicare spagliato di comunicare questo tipo di cucina. A dircelo è la chef Cristina Bowerman, stella Michelin al Glass Hostaria di Roma: “La cucina nazional popolare non è da meno rispetto alla cucina creativa, si tratta semplicemente di target, espressioni e visioni diverse del mondo della ristorazione. È l’alta cucina che viene vista come massima espressione dell’Italia e questa può essere anche una cucina di ‘trattoria’. William Drew, director of content di The World’s 50 Best Restaurants, lo ha detto bene durante C’è + Gusto a Bologna: l’alta cucina non segue più i canoni di una volta ma quello che paghi è il valore dell’esperienza. L’esperienza può essere straordinaria anche in un contesto totalmente diverso dai canoni tradizionali di ristorazione rigida legata ai pinguini e alle tavole apparecchiate in modo impeccabile”.

La differenza tra le due città, vista nella guida presa in esame, non sembra quindi essere una questione di disequilibrio: “Non è questione di equilibrio – spiega ancora Mastrovito – ma di un’interpretazione diversa della cucina. Roma è più radicata culturalmente nella tradizione culinaria. Non ci sono tendenze gastro-fighette in una città rispetto all’altra, ma è un’interpretazione diversa. Come Guida alle Osteria d’Italia facciamo attenzione alla territorialità a tutto tondo e Roma in questo caso vince”. 

Una differenza, quindi, basata non solo sul modo di interpretare la tradizione ma anche rispetto al turista che arriva nella città. “Da Ratanà – dice Battisti – stanno aumentando a dismisura i clienti stranieri ma non i classici turisti. Si tratta di persone che sanno qual è la tradizione milanese e che vogliono venire a provarla. Il terreno di Roma, rispetto a Milano, è sempre stato più fertile per la tradizione per la sua identità decisa e coltivata nel tempo. Io ho sempre cercato di mettere al primo posto la tradizione, anche quando nel 2008 proponevo i filetti di trota e i clienti andavano nei ristoranti che proponevano l’aragosta. Eppure, nonostante questo, gli imprenditori aprono i locali a Milano, perché è una città aperta”. Un punto toccato anche da Cristina Bowerman: “Prima di investire a Roma l’imprenditore ci pensa dieci volte perché stiamo parlando di una città in transizione, contanti lavori in corso, con la metro che non funziona bene, con le infrastrutture di accoglienza del turista ancora carenti. Si spera sia una fase passeggera. In generale, mettendola sul piano ristorativo e culinario, si tratta di una città al passo con i tempi tanto quanto Milano”.

I numeri sembrano quindi basati su un modo diverso di vivere l’osteria, la tradizione e l’innovazione. Presenti in entrambe le città ma vissute come esperienza in modo differente. 

Da sinistra Francesca Mastrovito, Cesare Battisti e Cristina Bowerman Da sinistra Francesca Mastrovito, Cesare Battisti e Cristina Bowerman