IL FILM
Ratatouille è la pellicola di animazione della Disney Pixar. La storia di un topo-chef che conquista il palato del più arcigno dei critici enogastronomici riportandolo ai sapori dei piatti preparati dalla madre
La semplice ricetta
per la felicità
La Ratatouille è un piatto tipico della cucina francese, che prende il nome dal verbo “touiller” che significa mescolare. Dire fare una“ratatouille” in francese significa mescolare tante cose diverse tutte insieme (e non ha sempre un significato positivo). Infatti, nel piatto vengono mescolate insieme svariate verdure: melanzane, zucchine, peperoni ma anche molti aromi: alloro, timo e basilico.
Ma Ratatouille è anche il nome del cartone animato della Disney Pixar che sta impazzando nelle sale di mezzo mondo. Perché? Perché racconta il mondo delle cucine dei ristoranti non solo ai bambini, ma a tutti, in maniera dettagliata, specifica e divertente allo stesso tempo.
Una storia semplice. Un topo (Remy) che vuole diventare il più grande chef di Parigi, aiuta un umile sguattero (linguini) di un noto ristorante insegnandogli a cucinare. Uno scambio di battute tra i personaggi ricco di informazioni ben precise e di realtà esistenti nelle cucine parigine come in quelle di tutto il pianeta. A cominciare dalla composizione della brigata di cucina, recitata sapientemente dal topolino, fino a finire con la descrizione del cuoco medio: non sempre un artista, ma spesso un “avanzo di galera”. Il film rivela che le cucine non sono un luogo facile dove si lavora sempre in armonia, ma spesso sono luoghi difficili, dove la gerarchizzazione dei ruoli si fa viva e pesante.
Andiamo al cibo: tutti rigorosamente esistenti gli ingredienti (un particolare riguardo del regista allo zafferano de L’Aquila), i vini citati e, molto importante, le ricette, che sono state create fisicamente niente di meno che da Thomas Keller del ristorante The French Laundry di Yountville, California. Uno dei più grandi del mondo. E ovviamente, anche quelle sono state riprodotte in cartone.
Ora, chi gironzola in questo ambiente sa quanto sia difficile descriverlo, figuriamoci rappresentarlo. Ma nel film, i gusti, i sapori e gli abbinamenti sono visivamente rappresentati con un scoppiettìo immaginario nella mente dei personaggi (chissà se è davvero questo che accade tra i nostri sensi e la nostra mente).
C’è anche una poco velata critica nei confronti del cibo fast delle grandi produzioni. Proprio lo chef executive del ristorante, nonché l’antagonista, vuole mettere sul mercato una linea di prodotti surgelati e semi-cotti, ovviamente viene boicottato dai protagonisti.
E poi, è il personaggio di Anton Ego ad entusiasmare di più. La caricatura del critico enogastronomico è geniale. Freddo, arcigno e solo, nella sua casa a forma di bara, è sinonimo di morte per chi ha un ristorante e le sue recensioni sono le più autorevoli di tutta la Francia. Ma la sua penna feroce (come nelle migliori favole) è intenerita da un piatto preparato dal topino, la Ratatouille appunto. Come? Con la capacità sensoriale di un piatto semplice che riporta magicamente Ego nella sua infanzia. In sostanza, quello che la maggior parte di quelli che fanno questo mestiere vogliono esprimere: la portata evocativa del cibo, un vento che scompiglia i capelli di tutti, anche del più arido degli uomini, ma anche che spesso la tradizione, se ben fatta, è più originale e fresca di qualunque novità.
Così Ratatouille ha una morale e un lieto fine che non sfociano nella banale eccellenza e perfezione delle vite come dei piatti, ma ci propone una semplicità quotidiana e duratura come ricetta della felicità.
L.D.T.