Quali sono le coordinate per rintracciare la tradizione spumantistica italiana? Se la domanda è scontata, la risposta non è immediata. Tra la ricerca smodata di trasformare in bollicine qualsiasi vitigno del nostro Bel Paese e la strana tendenza di vendemmiare uve non mature pur di portare in cantina quell’acidità necessaria per spumantizzarli, il risultato ultimo, a volte, è solo un calice di catinelle che potrebbero vivere in ogni dove, in un senza spazio e senza tempo alla ricerca di un territorio perduto. Non è però il caso di Fongaro, che a metà strada tra Verona e Vicenza, nella Val d’Alpone, ha tracciato sin da subito l’asse delle sue ascisse, con un unico vitigno da valorizzare la Durella, e delle sue coordinate, con un unico metodo di vinificazione, quello classico. Nata sul finire degli anni ’70 del 900, Guerino Fongaro, patron dell’azienda, decise di fare esattamente il contrario di quello che veniva richiesto in quel momento con il vicino consorzio del Soave.
Si promuoveva, infatti, l’espianto della Durella in favore della Garganega e ne sarebbero nati anche incentivi economici per chi avesse accolto il messaggio, ma la capacità di vedere le cose, anche quelle che non ci sono, portò Guerino a fare esattamente il contrario, e oggi l’azienda possiede dieci ettari quasi tutti interamente vitati con la Durella. Una scelta che sembrava poco vincente all’epoca, con quell’uva autoctona considerata rustica, a tratti selvatica, al punto tale che il vino che si otteneva era definito un “vino duro per gente dura”, ma quella stessa uva, così acida e resistente, oggi, a fronte del cambiamento climatico, rappresenta, invece, il modello ideale per una base spumantistica. E il patrimonio di quell’idea combattuta e di quel progetto in assoluta controtendenza, viene oggi raccolto e custodito dalle due famiglie Danese e Molinarolo che continuano il lavoro iniziato da Guerino.
Così a Taormina Gourmet on tour, è Tanita, figlia di Maurizio Danese, che in una degustazione tenuta dai giornalisti Federico Latteri e Titti Casiello, ricorda poi come sul finire degli anni ’80 l’azienda ha intrapreso anche un’opera di conversione in biologico di tutti i vigneti e della sua attenzione a produrre con maggiore qualità piuttosto che quantità. Il disciplinare del Lessini Durello prevede, infatti, una resa massima di 160 quintali per ettaro, ma l’azienda da sempre ha deciso di assestarsi su una produzione che non supera mai i 100 quintali per ettaro. Le modalità di vinificazione sono poi molto semplici e dopo una prima pigiodiraspatura segue una fermentazione in vasche di acciaio o cemento per proseguire poi, per la seconda fermentazione, con una presa di spuma con lieviti selezionati.